lunedì 2 luglio 2018

Come un girasole


Perciò è questo il dolore della morte. 

Una sillaba strascicata mi avvisava del fatto che non c'era più. Dei singhiozzi lenti risalivano dal petto e alcune lacrime bagnavano le guance, il cuscino. I pugni hanno stretto le lenzuola e non esisteva altra parte di me oltre la testa. Sta tutto lì, il dolore. 

Ho perso un'amica, era questo il messaggio che non conoscevo ancora, per quanto fosse nell'aria questa enorme catastrofe. 
Per 48 ore non ho visto altro che il mio dolore: ero in piedi su una spiaggia guardando l'onda alzarsi, sapevo che ci avrebbe travolti e me ne stavo comunque lì. Fuggire non è mai stata un'opzione. 

Ebbene, quell'onda è arrivata ed è una bella merda. 
Forse l'istinto, forse la nostra mente, forse l'inerzia, forse l'inconsapevolezza ci hanno spinto a muovere le braccia e le gambe. Con l'unica differenza tra chi cerca un appiglio e chi prova a farcela contando sulle proprie risorse. 

Io non so niente. Ma niente è il punto di partenza qua: posto questo dolore, perché, per come non ha nessuna importanza, bisogna attraversarlo. 
C'è la marea tutto intorno, l'acqua sporca, il riflesso della propria anima spezzato solo dalle increspature dell'acqua. Ci sono lacrime che non vogliono saperne di smetterla. 

C'è questa non quantificabile tristezza che invade le viscere e paralizza ogni arto. Ma c'è anche la necessità di compiere delle scelte: ed è a quel punto che riaffiorano i ricordi.
Quando la parte difficile della giornata era decidere tra pizza e arancine; quando dietro uno sbuffo c'era comunque un sì; quando finalmente c'eravamo tutti e tutti potevamo scambiarci le nostre noie per riconsegnare a ciascuno una risata.

Quando mi hai portato con te in almeno due giorni bellissimi e per strada dovevi rispondere al telefono per forza con una mano e cambiare marcia con l'altra: "Sofia mettici a sicunna"- perché dovevo darti una mano, che qualche volta due non bastavano con tutto quello c'era da fare. 
Capisci? Mi dicevi. Dopo avermi spiegato quanto fosse difficile conciliare tutto. 

Non è una cosa semplice entrare nella vita delle persone: ci vuole discrezione, premura, gentilezza. Assolutamente ovvio precisare che queste erano tue grandi doti, ma c'è di più. Ciò che rende possibile il fare non sono le idee: una casa progettata ha bisogno di un'impalcatura per ergersi. Ha bisogno di chi si preoccupa di essere il sostegno. A te toccava sempre quella parte, chiaramente la più faticosa. 

Andandotene ci hai privato di un sostegno? 
Solo stamattina posso rispondere a questa domanda, adesso che, poste ancora le lacrime, bisogna per forza nuotare. 
Dipende da noi, cara Valery. E tu lo sapevi. Anche stavolta hai fatto la tua parte, resistendo più che potevi e nel modo più dignitoso in cui era possibile farlo. Eccola l'impalcatura, ecco come si può trasformare il dolore. Ecco cosa va fatto: bisogna renderti omaggio, amica mia. Bisogna portare a compimento quelle idee per cui tu ci hai fatto a lungo da sostegno. 

Bisogna vivere tanto, intensamente e con stupore. Quello stupore quotidiano che ciascuno liberamente deve trovare nei luoghi che sceglie di sperimentare. La stessa libertà che usavi tu, quasi moltiplicandoti pur di vivere intensamente. A te dobbiamo la qualità della vita che scegliamo di vivere. Con te, perché ci sono decine e decine di sfaccettature con cui guardare a questa triste morte e a questo bastardissimo dolore, e non mi sottrarrò da alcun punto di vista.

Ma oggi scelgo di tenerti ancora e includerti in ogni respiro, sarai con noi a ridere e ci scambieremo ancora sguardi pieni di malizia, quella malizia che hai scelto come strumento per fare incursione nella mia vita, rendendo più familiare una nuova avventura e anteponendola con le dosi giuste ad ogni incontro. 

Farà schifo ancora un po', concedimelo. 
Ci aggiorniamo Vale, ti faccio sapere quando facciamo equipe. 
Ovviamente arancine.