giovedì 27 ottobre 2016

Planando a braccia tese

Il modo migliore per raccontarvi questa storia è partire dalla fine probabilmente, cioè da quella sensazione di leggerezza che non provavo da tempo. Adesso che il cielo sembra essersi schiarito, proprio come avviene nei cartoni animati, con le nuvole che si allargano e i raggi di sole che si fanno spazio, posso parlarvi di quell'anelito leggero, dei sorrisi che si formano sulle labbra e di quei caffè bevuti fino all'ultimo sorso senza la preoccupazione che possano bucarmi lo stomaco.

Mentre mi sforzavo di scrivere con una bella grafia per ricopiare in bella il mio compito, ripercorrevo con la mente le immagini di quei video che tanto mi hanno aiutato nello studio dell'ultima materia: le bandiere delle nazioni posate sugli stati, i missili che con un moto parabolico finivano sulle terre che nella realtà hanno contribuito a distruggere, le fabbriche disegnate a mano con il fumo nero delle ciminiere e le monete come quelle del deposito di Paperon de' Paperoni che segnano l'incremento delle ricchezze e il depauperamento critico di altri luoghi. Ho espresso un desiderio subito dopo l'esame, facendo segno con le mani a sfera e menzionando "un bel piatto di pasta". Lì, ai piedi del Teatro Massimo, finalmente serena nel constatare come a poco a poco anche quella città stesse entrando nel mio cuore. 

Anche quando sono salita a bordo del 101 e nel caos ho distinto le voci di un ragazzo che sembrava ne minacciasse un altro. Ho pensato "i soliti palermosauri", ma poi ho capito cosa stava accadendo davvero: se le stavano dando con un ragazzo di colore. E la gente ha cominciato a gridare "Autista! Autista!Chiami la polizia", probabilmente ignari del fatto che ciascuno di noi avrebbe potuto chiamare la polizia. Ma alla fermata successiva sono scesi e nessuno di noi avrebbe più saputo dell'epilogo della vicenda. Io avevo appena sostenuto un esame di storia contemporanea, avevo letto dei capitoli riguardanti la guerra di secessione americana, quella combattuta fra i nordisti e i sudisti, quella che pervenne poi all'abolizione della schiavitù dei neri. E a pochi passi da me un bianco stava prendendo a cazzotti un nero. 

A passo svelto sono entrata alla stazione centrale e mi sono diretta al botteghino per comperare l'ultimo dannato biglietto di questi giorni scanditi dai viaggi in treno; secondo la tassazione regionale per percorrere il tratto ferroviario da Palermo alla stazione di Pollina- San Mauro Castelverde occorre la somma di 6,90 Euro. Pensavo al 2012, a quando ne pagavo 6.35 e non so cosa sia cambiato nel frattempo, magari hanno sostituito 55 cent di bulloni sui binari lungo il tratto o c'è qualche bagno guasto in meno su quei treni. Prima che potessi raccogliere i miei 10 cent di resto, si è fermato alle mie spalle un signore trasandato e scuro in volto che mi porgeva un bicchiere di plastica vuoto. La mattina precedente mi era accaduta la stessa identica cosa con una donna, forse una rom, non saprei dirlo. A entrambi ho dato quei pochi cent che mi erano rimasti. Insomma se avessi continuato a viaggiare per l'intera settimana avrei dovuto mettere in conto anche questa sovrattassa. Poco male, due gesti di carità, direte. Ma no, non è quello che ho pensato nè quello che ho sentito. Sarà perchè con la coda dell'occhio ho potuto vedere entrambe le volte come abilmente svuotavano quel bicchiere dopo che qualcuno metteva dentro degli spicci. 

Ho lasciato volutamente queste riflessione indietro, in un posto lontano della mia mente, avevo appena superato una prova difficile e non volevo riempirmi la testa di tutte le storture che avevo notato in così poco tempo, in un breve tratto, in un contesto non poi così ampio. Per più di un mese avevo resistito e cercato di concentrarmi solo su un obiettivo e adesso potevo finalmente tirare un sospiro di sollievo. Da questo esame ho imparato che la soddisfazione è direttamente proporzionale al corrispettivo lavoro svolto una volta portato a compimento. C'entra poco con il risultato, meno ancora con le quantità. Ogni esame è una storia a sè e questo mi era costato molto perchè era stato in grado di mettere in discussione la mia sicurezza. L'affanno, l'acne, il cattivo umore, erano l'effetto di una pressione a cui io stessa mi sottoponevo. E oggi? Oggi sto "planando a braccia tese e più in alto e più in là, ora figli dell'immensità". 

Oggi mi sento ancora più affamata, ancora più convinta che ad ogni bastardo razzista può corrispondere un seme di cultura e rispetto, che per ogni furbo e approfittatore c'è chi si sforza di essere onesto con se stesso. Per tutto questo tempo ho fatto in modo che il mio Hodor personale facesse muro per impedire ai miei mostri di entrare, per darmi il vantaggio di cui avevo bisogno, per prepararmi alla battaglia. "Hold the door" ho pregato tutte le notti, per concedermi un riposo che mi era strettamente necessario per affrontare una nuova giornata, finchè quella preghiera non è divenuta un' eco lontano. Ho dovuto sacrificare il mio Hodor, una parte di me, in questo cammino, ed ora posso fare spazio a una versione rinnovata, che contiene quello che ha vissuto ed è pronta a prendere a morsi di nuovo la vita. 

*Hodor è un personaggio della saga "Il trono di spade", il fedele servitore della casata Stark che ha sacrificato la sua vita per salvare il proprio padrone. Hodor non era in grado di esprimersi a parole, riusciva a pronunciare solo quello che tutti credevano fosse il suo nome. In realtà da giovane il ragazzo ha subito un forte trauma, mentre viveva la visione futura della sua morte: tratteneva con tutta la sua forza una porta, mentre da lontano il padrone in fuga lo supplicava gridando "Hold the door", che è divenuto nella sua mente semplicemente "Hodor".

domenica 2 ottobre 2016

Sottili contraddizioni

E' passata domenica. 

Il giorno delle pacifiche concessioni: ci si può alzare più tardi senza sentirsi in colpa, anche se ad attendere rimangono sempre centinaia di pagine del manuale di storia, per cui non importa che giorno della settimana sia, nessun libro si sfoglia da solo. Un pensiero di crudo rammarico per colazione e un caffè che, per sembrare più buono, ho macchiato con cura. Più che decisa a non farmi travolgere dal via vai del pentolame in cucina, ho raggiunto la solita postazione ma i suoni provenienti da fuori suggerivano tutti domenica. Con un sorriso velato ripensavo alla serata precedente, al solito summit settimanale con gli amici, a quei discorsi articolati, percorsi, e che poi restano sospesi nonostante la loro carica, nell'incognita di un futuro fuori dal nostro controllo. E mi rallegro per quella sottile contraddizione, da una parte la sicurezza di valori condivisi forti, dall'altra le storture di un contesto difficile e privo di punti di riferimento. 

Mi lamento spesso per il sovraccarico degli impegni, per le responsabilità che ti stringono nella morsa delle scadenze, per il tempo che proprio non si riesce a trovare e per tutte quelle cose che "vorrei ma non posso". Anche quell'intolleranza malcelata per chi guida male in strada davanti a te, per chi parcheggia in doppia fila e per quel signore che dal finestrino della sua auto nella corsia opposta alla mia mi guarda e mi dice con gli occhi: "Signorina passi...ce la fa!". Ma de che? Ci lascio uno specchietto! E tutti quei rumori molesti, le intrusioni indesiderate, un mondo social opprimente e l'incapacità di osservare in silenzio. Ipercritica, noiosa e chissà, forse eccessiva. Cerco di trattenere quella patologica tendenza a tenere tutto il resto del mondo sotto controllo, mentre dentro di me è un continuo '48: il corpo si ribella manifestando svariati dissensi nelle zone dell'apparato digerente, mentre lassù le classi dirigenti del cervello si dividono in ulteriori fazioni, chi vorrebbe concedere una tregua, chi vuole solo reprimerle con la violenza, e in piccola parte chi supporta più o meno segretamente la rivoluzione, fidando nell'utopica idea di una vita felice.

Curiosamente però, sono la stessa persona che non nega agli altri il tipo di supporto che servirebbe a se stessa, dispensando consigli su come rimanere a galla e destreggiarsi in un periodo complesso, estremamente precario, di cui rappresenti lo scatolone con la scritta "FRAGILE". Però magari dentro c'è un frigorifero di ultima generazione, multi accessoriato e di un argento splendente. Per Brezsny è una questione astrale, noi Toro siamo così: anche nei momenti di positività, carica e fortuna, amori di rose e lavori seducenti, cerchiamo un motivo per legarci alla tristezza. E poi ha detto, profeticamente: "La tua ferita è una benedizione", e sto ancora qui a domandarmi di quale squarcio parlasse. Sottili contraddizioni, appunto. 

E' innegabile che essere giovani al giorno d'oggi è complicato, perchè come dicevo qualche riga sopra, mancano i punti di riferimento, le certezze. 10-15 anni fa un giovane poteva ancora contare su una identità locale, una radicalità dei costumi e su percorsi di vita che necessariamente ti mettevano di fronte all'esigenza di cavartela con pochi mezzi (intendo dire anche senza Internet come lo conosciamo oggi). Questo lo rendeva forte, lo corazzava e lo proiettava in una direzione coraggiosa ma che in qualche modo risultava già solcata. Erano però decisamente inferiori le possibilità. Oggi un giovane può fare tutto: può studiare, può partire, può parassitare senza alcun disturbo. Può scegliere un compagno senza impegno e demonizzare al contempo una vita in cui invece bisogna sacrificare spesso qualcosa in funzione di progetti condivisi. Può curare il mito di se stesso, spazzando le esperienze condivise, chiudersi in un individualismo di superficiale sussistenza e deridere magari quei contesti in cui qualcuno crede ancora nella forza del gruppo e nel servizio a terzi senza tornaconti, fatta eccezione per una formazione personale e civile - consentitemi - che nessun'altra agenzia educativa è in grado di offrire. 

Ma la vera difficoltà, prima ancora che nelle scelte e nei percorsi, ciascuno di noi la vive con se stesso. E' l'interrogativo grande a cui sapere rispondere: chi sono? Cosa parla di me? Cosa mi qualifica? Ci lavoro almeno da tre anni e, tra le altre, ho raggiunto una nuova consapevolezza: conoscersi è quel sentiero che termina insieme a noi. Possiamo solo diventare abili lungo la strada in quel gioco di equilibrio tra io e io.  
Troppo cerebrale forse, troppo pesante, magari vi aspettavate di leggere la mia solita poesia in prosa. In effetti non sapevo con certezza cosa sarebbe accaduto tirando fuori questo post. Accumulo i pensieri  e quando non ci entrano più, butto fuori e poi seguono fenomenali dormite. Via quella tachicardia che mi fa mal godere l'ultimo episodio di Friends prima di staccare tutto. Insomma, quello che sto cercando di dire è che dietro l'apparente saggezza che può trapelare da questo "flusso di incoscienza", c'è  la ragazza che si emoziona per le audizioni di sconosciuti a X-Factor. C'è la donna che chiede di essere accarezzata, ma rifiuta un caffè con nuove compagnie. C'è la sognatrice che trascrive le immagini della sua fantasia sul sottofondo di una melodia generata solo da chitarre, ma non sale su un treno. C'è una dispensa di amore ma che rischia di scadere. Possiede una soluzione, ma volta pagina sul problema. Un elenco di sottili contraddizioni che si rispecchiava anche questo pomeriggio fuori: mare calmo, effetto olio dall'alto, temperatura mite, la solita umidità, ricci in ribellione, una festa a metà. Dentro, negli schermi, il meteo preannunciava bufera.