giovedì 18 febbraio 2016

Lo stato delle cose #2

Sono seguite diverse altre passeggiate dall'ultima in cui descrivevo rammaricata la realtà circostante. Molte sono state in solitaria, alcune in compagnia e in quei casi osservare diventava un esercizio molto più stimolante. Passeggiate lungo l'asfalto e i marciapiedi scorticati, arricchiti d'erba, frutto del perenne guizzo della natura che si ribella al cemento e fa le pernacchie ai passanti ignari, nessuno dei quali si improvvisa ambasciatore di decoro. L'inverno da queste parti non è particolarmente freddo o grigio, quest'anno non è stato neanche eccessivamente bagnato, piuttosto vuoto. Un' aurea di silenzio e penombra incorniciano il paese, quasi tutte le sere, eccetto per quei quadrati o rettangoli ricoperti di teli bianchi, con un fungo a riscaldarli, troppo pieni per la varietà imprecisa di persone, troppo incostanti nel rivitalizzarsi oltre i sabato sera altalenanti. Questo posto è una festa discontinua, un rullo occasionale, è come un fumatore il cui vizio reale è la dissacrante pigrizia. Tra i colori di un quadro apparentemente desolato, compaiono schizzi freschi di buona volontà: disillusi commemoratori, inconsapevoli avanguardisti, sfiduciati cantanti (e calciatori), i protestanti del "va bene così", quelli che "chi si accontenta gode" e i miei preferiti, i giustificatori che addormentano le coscienze.

Dentro, nei focolai illuminati dagli schermi TV e le pompe di calore che sparano aria assecondando l' intorpidimento, accade il giorno. Il rituale fiabesco delle vite che si mettono in movimento, un tempo scandite da un tocco di campana, ora si sussegue come un coro di automatismi: l'unica costante è lo sguardo ansioso sull'orologio digitale del telefono smart. Perdersi nel tempo è rimasto più un racconto nostalgico, un rammarico dei grandi; i piccoli, infatti, per loro natura, non fanno caso al tempo e ancora riescono, se liberi dal poliziesco controllo dei genitori, a vivere il momento. Tra le quattro mura della stanza più affollata della mia casa, il nitido color legno deve suggerire accoglienza e ritrovo. Raro è il silenzio, quasi a farsi beffe del mondo circostante. Le posate d'acciaio sbattono nell'apposito contenitore di scolo o dentro le sezione del cassetto predisposto a conservarle. Gli spiccioli frullano nelle tasche dei pantaloni di mio padre, disimpegnato e annoiato. Tutt'altra storia riguarda mia madre, nelle cui pantofole riecheggia ogni passo come tonfo di guerra. 
C'è un'uscita che conduce alla strada, ma sempre in funzione di quel rituale fiabesco, essa è più entrata e sosta al limite per gli innumerevoli visitatori. I più familiari accostano la tenda e sorridono, incurante del quadro giornaliero che possono trovarsi davanti. Noi siamo sempre impreparati e veniamo sorpresi nei più normali momenti di intimità, specie attorno alla tavola. 
E' dopo pranzo che la stanza suole diventare una bolgia di voci, un call center senza telefoni, un accavallamento disordinato e convulso, uniformato dal solo odore di caffè, rigorosamente fuoriuscito dalla moka. 

Ho creduto a lungo che fosse così in molte case di questo posto. Mi dovetti ricredere quando, nella folle avventura di uno spettacolo portato in scena con inesauribile volontà, incontrai molti visi oltre la maschera che, forse per tutelarci, facciamo indossare alle persone. E fu proprio attraversando i corridoi delle loro case, entrando nel riflesso puro delle loro vite, incrociando i loro sguardi nudi. Il bilancio impietoso denota poca felicità e molta solitudine, ma mai , mai e in nessun caso, è privo di speranza. Forse quel rituale fiabesco intristito e monotono ci salva ancora, o forse ci uccide lentamente. Ho imparato però il grande potere curativo che risiede nell'evadere il tempo, e nel ribellarsi per 20 giorni o poco più, in un crescente e ricco stato di adrenalina, con il bagaglio pieno di amici, all'incessante accadimento dei giorni qui. 

Lo stato delle cose non presenta segni costanti di miglioramento, ma il medico ha detto che qualche molecola sana sta viaggiando e circola veloce nei pressi dello spirito.