martedì 14 giugno 2016

Qui il mare è blu

E' iniziata così questa storia: un commento  apparentemente ovvio che mi ha lasciata disarmata. Come avrei potuto spiegarle che qui il mare è blu?

Delle pressocchè infinite possibilità che composizioni e formule e molecole e contingenze potevano far risultare, alla fine lo scenario è proprio questo. Il mare blu. Come regnante su un trono altissimo, coronato dai mille e più luccichii dei riflessi del sole sullo specchio di acqua. Ai piedi un tappeto di sabbia non troppo farinosa e pietre non troppo grandi, non troppo ciottolose. La profondità quella sufficiente per elencare le molteplici sfumature dal cobalto al blu notte. Alla sua corte non anonime presenze, ma possenti montagne, non costruzioni e artifici, ma incastonature di storia perfette. Nello sforzo di trovare una ragione a cotanta bellezza, ho infine deciso di limitarmi ad accoglierla e, dovendo fornirne un'oggettiva presentazione, ho finito per riscoprirne i segreti più intimi. La mia terra, la mia casa, il mio habitus. 

E' questo che succede quando qualcuno piomba nella tua vita all'improvviso: devi metterlo al tuo fianco. Non puoi aprirgli il passo, non ne godrebbe abbastanza, nè mandarlo avanti da solo, non saprebbe come muoversi. Sei tu che devi ripuntare lo sguardo, fare un passo indietro e ricominciare da ciò che ti si pone di fronte per quello che è. Nudo e crudo. Il vento ancora frizzante di inizio estate ci ha avvolto, il tempo si è nettamente appiattito, a tutto vantaggio dello spirito, ritrovato, rinato. 

Nella mia terra si può camminare tanto e non stancarsi mai. Non avevo ricette segrete: è quello che avrei promesso avremmo fatto. Qui non ci sono le grandi opere architettoniche nè le tracce visibili di un passato glorioso: a scandire ogni metro quadro sono sprazzi di vita semplice. Oh sì, abbiamo persino intravisto un fossile una mattina, ma solo perchè ci siamo concesse il privilegio di andare a fondo alle cose. Le cose, le case, i volti: il sapore del quotidiano. Che di storia ce n'è a bizzeffe anche qui, ma la bellezza dico, la bellezza non ha a che fare con i fatti coniugati nel tempo. C'è qualcosa di intatto, qualcosa che tutto prescinde e che ne fornisce l'essenza. Questo posto è.

Io vorrei sollecitare, fatelo: prendete una persona con cui state bene e portatela nella vostra vita per un po'. E' l'esperienza più egoistica del mondo. 
Già, perchè quando sarà finita, quando i ricordi ti sembreranno così riduttivi e proverai a rincorrerli per timore di perderne un pezzo, ti renderai conto che sei tu ad essere cambiato, sei tu che ora guardi con occhi nuovi ciò che prima ti sembrava assolutamente scontato, assolutamente un mare blu. 

sabato 4 giugno 2016

Siamo tutti Shahrazad

Storie.
Storie vere, quotidiane, belle, divertenti, tristi; storie passate, storie di domani, storia senza spazio, storie fantastiche e storie di storie. Se ci pensiamo bene anche solo per un attimo, siamo costantemente circondati da storie: basterebbe fermarsi al centro di una grande piazza e sedere su una panchina, meglio se all'ombra, poi alzare lo sguardo e farlo lentamente girare nella direzione che la nostra testa può sopportare. Troveremmo sicuramente altri volti, passeggeri inconsapevoli del nostro attento studio; passi consueti in una delle molteplici direzioni possibili, voci incuranti di un orecchio che capta stralci di vita; oggetti che catturano la nostra attenzione e diventano per un po' l'anima del racconto.

Trasferiamoci altrove, in un luogo in cui nessuna presenza può dirsi passiva: ipotizziamo la sala d'attesa di uno studio medico, meglio se di un medico generale, meglio se di un piccolo paese. Ecco che l'eco delle narrazioni si arricchisce di dettagli indiscreti, bisbigli dispersi nell'aria, frasi da ricostruire di cui è comunque possibile cogliere il senso. Dialetti imbastarditi dalla compresenza di origini differenti danno vita a una cantilena unica e armonizzata, interrotta più o meno costantemente dall'uscio di una porta che si apre, un paziente che saluta, mai sconvolto dall'ennesimo oracolo profetizzante sollievo dal dolore. Se non sei troppo occupato o preoccupato della cura da prestare alla fila in coda, ammesso che tu possegga il numero che ti legittimi alla presenza e scongiurato il rischio di furbastri e malandrini che tentano di passarti davanti, allora la tua testa sarà come cassa di risonanza delle storie più incredibili, quasi sempre coniugate al passato e con protagonista un mulo e non un auto.

Storie sospese definisco quelle che avvengono attorno ai tavoli dei bar: la frontalità obbligata, la distanza accorciata che consente alle mani di incontrarsi qualora il volume della musica fosse troppo alto, qualora il volume dei pensieri offuscasse l'esserci qui e ora, sopra l'ultimo limoncello ordinato come digestivo che si schiaccia con un amaro del capo prima di dare inizio alla danza, cioè alla storia. Le chiacchiere partono dal racconto della settimana trascorsa e si intensificano su un fatto che quasi sempre è il fatto del giorno. E sei costretto a gridare per sovrastare le basi Van Basco e le stonature al karaoke di chi chiacchiere ne ha sentite abbastanza e non gli resta che cantare. Ma tu siedi al tuo tavolo con chi ti sta di fronte e ti accorgi solo per un attimo che stai gridando giusto quanto basta per riuscire a farti sentire e quando sei tu che provi ad ascoltare ti affidi al labiale bastevole dell'amico con il quale in fondo non serve parlare. Siete già sospesi in un' aurea superiore che appartiene solo a voi, fatta delle migliori parole che crederete di avere mai pronunciato, in grado di trasformare un dispiacere in qualcosa di avvincente e una preoccupazione nella tua ennesima disillusione. Solo una birra gelata che malauguratamente finisse addosso ai tuoi pantaloni sarebbe in grado di distruggere quell'elevazione. Non importa se il giorno dopo ti sarai svegliata senza voce, la storia della sera prima avrà avuto dell'incredibile.   

Non luoghi che si riempiono di storie sono ormai sempre più frequenti: ognuno di noi ne ha una al giorno, forse anche di più; hanno il potere di trasferirci in una terra di mezzo inesplorata pur rimanendo fissi al nostro posto. Persino mia madre ultimamente si aliena mentre appare intenta a comporre sui tasti prose nuove. Ciascuno di noi possiede una storia virtuale esattamente come ogni storia virtuale ci possiede: una delle mie è fatta di costanti sorprese agli incanti del quotidiano che, inspiegabilmente, posti come caratteri che si susseguono, si amplificano di senso e aumentano iperbolicamente la nostra risonanza emotiva. Autentiche? Non autentiche? Non è il punto. 
Nei non luoghi possono avvenire le storie non ancora raccontate perchè frutto dell'unico albero che non smette di fiorire: la nostra fantasia. Possiamo chiederci che posto occupino allora gli equilibri e le misure della nostra razionalità, ma dovremmo prepararci a storie che contano ma non raccontano.  
  
In ultimo c'è da chiedersi quali storie un bimbo che guarda in mare da un oblò possa nella sua testa argomentare, arricchendola di tutte le categorie che possiede, disegnando elefanti rosa ed unicorni a pois. Ma non possiamo entrare in quello scrigno disordinato di immagini che rimane il suo più prezioso tesoro. 

Siamo le storie che raccontiamo, secondo quella curiosa intuizione per cui ognuno di noi è come Sharhazad che da vera donna ostinata, continua a raccontare ancora per mille e una notte le sue storie prive di epilogo, che nessuno in fondo è così impavido da pronunciarne uno per se stesso.