domenica 25 ottobre 2015

Le mie domeniche bestiali #2


Logiche inarrivabili finché non le vivi, finché non ci sei dentro. È una lezione che non impari una volta sola, ma ogni volta si ripete. Ho smesso di costruirne un film di cui non ero più neanche protagonista, se credo nel divino, devo attuarlo nel reale. Solo così, standoci dentro finché non hai male ai muscoli, finché perdi la voce e il vento arruffa i capelli, quando lasci andare le paure e dai spazio solo alla fiducia, quando mandi in frantumi il gesso del formalismo e ti animi, solo così esce fuori te stesso, quello sconosciuto soggiacente, incontra te e trasforma il mero equilibrio in preziosa armonia, sprigiona il vero taciuto dal convenzionale, diventa la tua personalissima poesia. Comprendi il senso del lasciare, l'importanza dell'andare e la bellezza del rimanere: scopri novità sul tuo conto che rinnovano il modo di vedere il mondo, gli altri e infine te stesso. Un'altra domenica bestiale, un altro viaggio. Le bionde certezze, gli sguardi complici, gli abbracci sicuri, le parole mai scontate, la misura giusta, i caffè all'inizio del giorno e l'ultimo dal sapore malinconico,  i punti di riferimento di sempre, l'osservatore lontano che si unisce al coro riconoscendosi nell'unico simbolo che accarezza tutti, un segno di croce sincronizzato in quanto puntuale e preciso. E ancora il misurarsi, la naturalità di gesti e note, come un copione già usato, che riproponi perché è bello e basta. Lo sforzo nel comprendere, la curiosità dei ragazzi, la loro voglia indiscreta, attenti, altamente pretenziosi e severamente critici. Genuini. Esemplari. Preziosi. La riserva di adrenalina alimentata dall'esigenza di amore, e più ami più canti, e più esigi e più dai, la formula perfetta, il segreto immacolato, il divino nell'umano, l'azione trasparente del Dio progettante si fa storia con l'io narrante. Una pagina colorata di creatività e calore, un disegno poderoso, una chiara Bellezza. Perciò mi sta a cuore, essendo essa stessa io, oggi nell'impavida veste della mia domenica bestiale.

martedì 13 ottobre 2015

Tu chiama piano

Avrei voluto dire qualcosa.
Non poteva essere un caso, non così: con il vento che si faceva sempre più forte e il giorno che diventava sera attorno a noi. Le macchine si inseguivano senza fretta e i loro rumori non mi recavano disturbo, il flusso di ragazzi si ripeteva incostante nel suo saliscendi consueto, con chissà quante storie su quelle gambe, con chissà quali emozioni e quel minimo comune denominatore che li rende categoria di questa società. Solo per pochi attimi mi soffermai sul loro viavai e sulla strada, per il resto riuscivo a sentire persino le orecchie tese e l'animo dispiegato. La bocca si era asciugata nelle parole spese per darmi ragione di un'irrazionalità pressante, nello sfogo di una descrizione in cui i silenzi lasciavano spazio all'irrisolto. <<Non è la soluzione>>. Quelle parole rituonarono nella mia mente a lungo, aprendo con delicatezza la porta delle verità più profonde. Il suo volto era così dolce: stava seduta con la schiena curvata in avanti, scomposta, mentre la testa sembrava volersi fare sempre più piccola tra le spalle, racchiusa poi dalla folta chioma nera. Non riusciva a non mangiarsi le unghia, così teneva alcune dita della mano e le pizzicava continuamente. Parlava tanto, spesso ribadiva gli stessi concetti, ma non era mai stancante ascoltarla. Esattamente come ricordavo che fosse. Quando non ero io a dire da me con sincerità quello che pensavo, lei riusciva comunque a leggerlo e sbattermelo in faccia forte, ma senza fare male. Non so come ci riuscisse, non so dove trovasse quella misura perfetta. So che su quella panchina di legno il tempo sembrava non essere passato, almeno per quanto riguarda quel luogo dell'anima dove teniamo gli affetti più cari, i legami di vita buona. I suoi occhi si fecero gonfi e si riempirono di rossore, tratteneva a fatica le lacrime.
Avrei voluto dire qualcosa.
Ma le parole si fanno burle di noi quando dovrebbero garantire la loro parte. <<Mi dispiace...>> fu il massimo che riuscii a pronunciare, fin troppo consapevole di non avere armi, di non avere ancora una volta la soluzione. Accettai di non essere un eroe e feci l'unica cosa che trovai avere un senso in quel momento, cercando il suo sguardo, sostenendo così il suo dolore. Ci fu un tempo in cui rinfrescavamo le ferite tamponandole di abbracci e custodivamo il dono dell'incontro condividendo l'intimità del sonno. Poi accadde la vita e cadde violentemente là, dove le macchine passano senza fare troppo rumore e i passi si sprecano nelle suole di gomma: qualcosa si è spezzato, qualcosa è rimasto intatto.
Avrei voluto che la bocca riuscisse a dire quello che il cuore gridava.
L'unica risposta, se c'è stata, è rimasta sospesa nel vento della sera ormai fatta convinta.
Chissà se con la sua misura perfetta l'ha colta, chissà se la custodirà, tirandola fuori quando bisognerà solo andare avanti. Allora "Tu chiama piano ed arriverò io, in un attimo, quell'attimo anche mio".

martedì 6 ottobre 2015

Ottobre

La cosa che preferisco di questo posto è che può essere ciò che voglio: un giorno è il mio diario, un giorno il mio reportage, un altro il mio banco di prova, oppure il mio laboratorio. Oggi è il mio flusso di coscienza, un esperimento che consiglio di fare a tutti. Scriverò senza regole, senza logica, forse addirittura senza punteggiatura. Scriverò per il piacere di farlo, per catalogare dentro di me i pensieri, come quando facciamo ordine in stanza e buttiamo alcune cose, quelle che non servono effettivamente o quelle troppo vecchie. Butterò anche quelle che non sono mai esistite, perchè sanno troppo di astratto.

 Mi sono data degli orari e in linea di massima li rispetto: le mie giornate sembrano essersi rimpicciolite, ma la sensazione di non riuscire in quello che mi prefisso per il giorno si fa sentire lo stesso; questa nuova vita esige una scansione, esige regole, ma soprattutto un metodo. Ci sono cose che sono diventate facilissime come fare sintesi, e altre difficilissime, come iniziare una nuova serie TV. Badate che per me le serie TV sono importanti tanto quanto un capitolo del manuale che mi guarda dalla scrivania. Ma a questo vorrei dedicare un altro post, un'altra finestra. Mi sento molto coinvolta ma anche tanto impacciata, mi sforzo di pensare solo giorno per giorno dentro la programmazione dell'obiettivo minimo. Mi rassicura il tempo, ma non voglio perderne. Mi piace lasciare spazio all'improvvisazione e ritrovami in sella alla bici in orari anomali, anche solo per un pò. L'aria addosso mi fa sentire bene, mi rinfranca, anche se quando mi fermo mi sento accaldata. Mi piace scampanellare ed evitare i dossi, mi piace pedalare lentamente per il gusto di osservare gli alberi e le case, le strade, il fango, l'erba, il cielo, il mare, e molleggiare sul tratto in pietra che mi porta fino alla Torre, entrare e raggiungere il balcone. E non importa se è cupo o c'è sole, non
importano umidità e vento, devo assaporare quello scatto e ricaricarne l'effetto nella mia testa. E' una possibilità più unica che rara: rimirare lo stesso luogo in centinaia di sfumature differenti. Non stanca. Non mi stanca. Poi riprendo la strada e pedalo fino a fuori, dove il sole tramonta per ultimo e arriva ancora un pò del suo calore. E' ottobre: gruppi di ragazzini corrono per strada come se inseguissero un gatto, ma vanno anche loro verso il loro posto, quello che scelgono quel pomeriggio. Conoscono tutte le strade, non vogliono nascondersi, le sentono loro, non devono chiedere il permesso. Bazzicano impunemente sudaticci e boccacceschi, scendono fino al mare o raggiungono il parco giochi, a volte entrano nei negozi per acquistare chissà cosa. I più grandi sono dislocati tra il campetto comunale, dopo essersi organizzati sul gruppo pensato apposta su what's app, i muretti del parco dove qualcuno sosta anche con la macchina, neopatentato, e i tragitti che dividono le loro case dalla palestra o dalla cartolibreria, dove ricevono l'ultimo libro di testo appena arrivato. E' ottobre: le mamme chiaccherano in piazza mentre i figli piccoli giocano con i loro tricicli o monopattini oppure ancora con una palla nello spazio rimasto a loro più fedele possibile, per questo vuoto, per essere riempito dalla loro fantasia. Nei tavoli del bar permangono i soliti amanti della birra in bottiglia servita ghiacciata, commentando i match del campionato di serie A e, con la stessa importanza, quelli di terza categoria. Le donne più anziane e qualcuna di mezza età all'orario si dirigono verso la chiesa, dove sarà celebrata l'Eucarestia o, se il parroco non c'è, la liturgia della parola, ma loro non mancheranno l'appuntamento. La nazionale che attraversa il paese è la strada più vivace, le macchine si accostano ambo i lati fregandosene dei segnali di divieto, cerco di non dare fastidio a quelle che invece transitano normalmente e prendo su per traverse a caso, spostandomi dove si respirano i profumi di cucinato. Il vicinato tende ancora a raggrupparsi davanti le entrate di casa più spaziose, per tenersi compagnia, attenti osservatori del flusso che non cambia, informati su tutto, anche su quello che non avresti voluto sapere, è fondamentale, per loro, offrirti quell'informazione al sapore di conquista. Non mi soffermo mai a lungo in un punto, preferisco registrare il moto continuo e riempirmi di ciò che mi circonda. Se tra i miei pensieri persistono dei visi in particolare, è quasi certo che li incrocerò davvero, così mi sembra di incontrarlo con frequenza, me è solo nella mia mente che persistono, come se fosse rimasto qualcosa di taciuto tra noi. Ticchetto il campanello solo con chi ho una certa confidenza, non voglio risultare invadente. A volte ho l'impressione che la gente vada di corsa anche qui dove il tempo
sembra essere costantemente in ritardo. Se non fossi ingessata nelle convenzioni, mi fermerei a parlare con tutti, anche con chi mi sta antipatico e spiegargli perchè. Non c'è qualcuno che preferisco non vedere, mi piace la gente qui, ha le sue stranezze, le sue singolarità. Sono le considerazioni nel complesso che non mi piacciono, ma quelle sono inevitabili quando si tirano le somme. E' proprio questo il concetto di comunità, e il tirare le somme non è altro che dare attributi alla comunità. Così ciascuno degli abitanti di questo luogo è affezionato alla propria casa, per dire. eppure sento di dire più o meno certamente che questa comunità non sente il senso di appartenenza a se stessa. A me non spetta giudicare, ma mi è possibile osservare, ed è ancora più impegnativo condividere quello che si pensa. Quando incontro i miei coetanei fuori da qui e riflettiamo su uno stesso argomento, poi mettiamo in comune quello che abbiamo pensato; così torno a casa con la mia meditazione personale nel bagaglio, ma anche con quella dell'altro. Questo è un concetto facile da comprendere. Tuttavia spesso mi capita di interagire con la mia gente di qui, e di tornare a casa svilita per via del suo essere pervicace a tutti i costi. O del mio essere poco capace di ascoltare. E' finita la vendemmia, è arrivato il tempo delle olive. Mia madre schiaccia quelle verdi, poi le lascia in acqua e sale diversi giorni, infine riempie una ciotola scolandone un pò e le condisce con olio, origano e aglio. La scorsa domenica la nostra tavola era ricca di prodotti semplici e buoni: c'erano le melanzane fritte ricoperte con salsa e spolverate con la ricotta, una bella frittata di patate e dei funghi porcini ottimi. Dopo pranzo ho glissato sulle faccende e mi sono stesa sul letto accanto a papà. Poi abbiamo guardato insieme la partita dell'Inter che ha pareggiato. Ora è seconda in classifica, mentre la Juve inspiegabilmente è giù in fondo. A noi in fondo non interessa, ma ci piace prendere in giro lo zio in uno scambio ironico che allieta i
momenti insieme. Non tutto è così roseo come descritto, ma ho citato la mia famiglia solo per dire che essere comunità è faticoso, è stressante, a volte ti sta stretto e a volte vorresti andare a vivere da solo. Ma poi arriva la sera, ripensi ai momenti vissuti e ti rendi conto che non sarebbe altrettanto bello, altrettanto vero, altrettanto ricco, se non fosse così arduo. Oggi ho scoperto che ottobre è il mese della capra e che esiste una pagina esilarante su facebook che consiglio a tutti: "Capre che salgono su cose". Ottobre è il mese del rodaggio, è "di nuovo" ottobre, ma è anche un "nuovo" ottobre. Una nuova possibilità.