domenica 24 giugno 2018

Dottoressa, che sintomi ha l'emotività?


Questa è una storia imperfetta e vorrei che si iniziasse a leggere nello stesso modo in cui sto iniziando a scriverla: con questa di sottofondo

Sono andata a laurearmi a Roma in un giorno di giugno, con l'afa della città, con un pessimo senso dell'orientamento e con famiglia  corazzata Potëmkin a seguito. 
Nella valigia avevo mutande, reggiseni, trucchi e scarpe col tacco. Poi i vestiti da indossare, le copie delle tesi e dei pacchi regalo che non sapevo se sarebbero stati graditi. 
In testa avevo decine e decine di aspettative, immagini che si rincorrevano anticipando attimi che per certo avrei vissuto.
Nello spazio ristretto di un sedile a bordo di un apparecchio Ryanair potevo leggere le istruzioni per capire come aprire il salvagente in caso di naufragio, e invece riuscivo a vedere solo i volti che di lì a poco avrebbero incrociato il mio percorso, e sorridevo.

Sono andata a laurearmi a Roma dialogando con una parte di me totalmente inedita, quella che freme per ciò che sarà, che sporge la testa oltre un grande muro e prova a vedere cosa c'è di così terrifico dietro. Addosso avevo vestiti leggeri, per affrontare il caldo e in spalla un piccolo zaino che conteneva l'essenziale. 
Ho scelto cosa portare: c'era anche un libro che avrebbe dovuto tradire le ore di viaggio, non l'ho mai aperto. C'erano carta e penna, per non sabotarmi e poter far sfociare i miei flussi interiori. No, non ho usato neanche quelle.

Sono andata a laurearmi a Roma ma questa storia non è fatta di commissioni, tesi e proclamazioni. 
E' fatta di trepidazione: quella di chi scende da un autobus e quella di chi aspetta alla fermata. 
E' fatta di impressioni: quelle che avevo costruito fino ad allora e quelle che ho potuto confermare. 
E' fatta di attenzioni: un caffè, un bacio sulla guancia e uno scambio di sguardi dai lati opposti di una stanza.
E' fatta di lacrime. Io mi ero sempre sentita dire "smettila di piangere", oppure che non era il caso di prendere delle decisioni o dire delle cose sulla scia delle emozioni. 
Se piangere è il segno tangibile di un'emozione, io piuttosto implodevo perché altrimenti mi sarei allontanata dalla verità razionale, dalle cose come stanno.
Ma come stavano le cose fino a ieri? Male, malissimo. Perché non avevo colto fino in fondo: le lacrime bagnano così tanto gli occhi che uno smette di vedere, e provocano singhiozzi che a volte uno non riesce a respirare. Se piangi perciò non riesci a guardare bene e se non respiri non escono le parole. E non sei. Non ti esprimi.

Sono andata a laurearmi a Roma fregandomene. Nessuno è mai morto di lacrime. Nessuno è mai morto di emozioni. Così martedì mi sono andata a coricare e su un biglietto di auguri ho trovato la chiave per non morire: "sei forte nella fragilità e coraggiosa nella paura". E ho pianto, di fronte a uno specchio di carne e ossa e capelli biondi, di fronte agli occhi meno giudicanti che conosca, di fronte a chi non mi ha mai detto di smetterla di piangere, ma di arrabbiarmi piuttosto e deludermi e amarmi e sentirmi e vivermi. 

Sono andata a laurearmi a Roma con un pantalone e una maglia rosa antico, in mano avevo le tesi, una chiavetta usb e una giacchetta da mettere durante i momenti formali. Ho percorso Corso Vittorio Emanuele a testa alta, con un leggero venticello che stemperava il caldo, sentendo il battito del mio cuore ma percependo l'accenno fiero della mie labbra. Spalle dritte, petto in fuori e via per il retro, così potevo indossare i tacchi senza occhi indiscreti a fissare. 
Quei tacchi sui sanpietrini non mi hanno tradita. 

Dovevo ancora buttare fuori tutto, ma mi sentivo leggera: ero un capo branco affamato, un lottatore sul ring, un alfiere a cavallo. Ero un passo avanti e appena dietro a sospingermi, non a sorreggermi, c'erano altre bellissime storie imperfette come la mia. 
Così mi sono presa il titolo: proponendomi, non mostrandomi. Così mi sono laureata: esponendo, non recitando. 

Sono andata a laurearmi a Roma ed è stato bellissimo, non perché qualcosa si sia concluso, ma perché tutto ha avuto inizio: come questa versione inedita di me stessa che sa anche planare sulle cose della vita, come questo pulsare dell'aorta nella pancia, come quel bacio sulla guancia, come quelle lacrime di gioia e vita vera.
Di emozioni non si muore e neanche d'amore, ho creduto di soffocare per cotanto affetto e poi mi sono accorta che avevo persino idealizzato dei momenti, quelli dove eravamo tutti felici di esserci e il tempo non trascorreva, ci faceva solo da sfondo, quelli in cui il caldo poteva far svenire e invece ha solo reso la luce migliore, quelli in cui poteva esserci imbarazzo e c'è stata solo complicità, quelli in cui ho abbracciato e sussurrato parole all'orecchio, quelli in cui ho mostrato tutti i denti, perché ho un bellissimo sorriso, quelli in cui non volevo togliermi la corona d'alloro in testa e il bicchiere dalle mani o le mani dalle mani, le altre mani che sospingendomi, erano rimaste lì, ad ammirare. E non mi  pento di tutto ciò.

Sono tornata da Roma e devo ancora realizzare di essere laureata perché il punto non è mai stato la laurea, il punto lo fa la vita, quella in cui intuizioni ed emozioni possono anche rincorrersi, ma mai escludersi.