martedì 18 novembre 2014

Un profilo importante

Ho dato un assetto al mio profilo per questo blog. E' stata più una sfida che un passaggio obbligatorio. Anche perchè obbligatorio non lo era affatto. Mi sono domandata però se qualcuno capitasse da queste parti e leggesse, e leggendo apprezzasse, e apprezzando riservasse uno spazio della sua giornata a una riflessione, allora io sarei utile. Essere utili è la condizione di chi produce. Userò prudurre come verbo, perchè "lavorare" ha un'accezione troppo legata al guadagno e il guadagno è legato al denaro e il denaro, o meglio, la mancanza di denaro alla disperazione. E io voglio essere utile e non voglio fare disperare nessuno che per caso leggesse e così siamo tornati a questo blog e al mio profilo: le cose che mi riguardano. Schematizzandole ho avuto l'impressione di rinunciare a una parte di me, ma in fondo, se potessimo entrare interamente in un elenco di lessemi, saremmo come dei dizionari: grandi, lunghi, intensi, utili ma noiosi. Quindi partiamo dal presupposto che un profilo può servire e magari se cerchi una ricetta per le Arancine siciliane non la vieni a cercare qui, ecco.

Nella compilazione del profilo c'è sempre una parte facile, quella anagrafica, ovvero quella che raccoglie informazioni tue e solo tue ma che fondamentalmente e nella maggior parte dei casi non hai scelto per te stessa: il tuo nome, il tuo cognome, la tua data di nascita. Ci sei, esisti, hai persino una ubicazione nel vastissimo mondo terreno. Trovo che sia un grande punto di partenza, chi siamo è anzitutto un'occasione. Io sono Sofia, sono nata a maggio e vivo a Finale, che mi piaccia o no, il mio viaggio parte da qui.

Adesso viene il bello: nome utente, ovvero quella dicitura che scegli di avere per pubblicare qualcosa sul web. Non è semplice, perchè ti dovrà rappresentare, dovrà dire qualcosa di te, qualcosa non è tutto, ma se provi a farlo ti accorgerai che non puoi accontentarti di "Sofia925" o "cucciolotta" o "orsacchiotto" o "bambolina" dududadadà. Lasciate che siano le vostre madri o i vostri fidanzati e fidanzate o le vostre amiche di quando avevate 12 anni ad affibbiarvi quelle etichette. Io ho cercato di scegliere qualcosa che potesse riguardarmi oggi e sempre, che dica tutto senza dire niente, qualcosa che imito da qualcos'altro. 

Ho scelto di chiamarmi "guerriero della luce"; non è altro che un personaggio letterario che non ha conformazione fisica ma è solo la metafora di ciascun uomo, creato da Paulo Coelho nel suo libro "Il manuale del guerriero della luce", una raccolta di testi pubblicati nella rubrica Maktub del quotidiano A Folha de Sao Paulo. Complicato? Un pò meno se considerate semplicemente che guerriero è chiunque sta lottando la sua personalissima battaglia, mentre la luce è sinonimo di verità, non quella assoluta, ma relativa, cioè di ciascuno. 

Nella formazione del mio profilo esiste poi una sezione dedicata a tutte quelle cose che richiedono riquadri più grandi e un limite di caratteri. Ai fini comunicativi è giusto e corretto e non occorre una laurea per comprenderne la ragione: se scovi un blog e devi decidere se ti interessa, sbircerai il profilo e vorrai leggere un elenco breve e conciso di cose nella speranza che alcune di esse o tutte possano combaciare con le tue. 

Nella sezione "interessi" non ho avuto grosse difficoltà: l'interesse è ciò che piace, il piacere è momentaneo, dunque gli interessi possono cambiare. Non definiscono nulla insomma, se non quella parte di te che in questo momento della tua vita permetti che si esprima. 

Film, musica, libri. Ecco qualcosa che invece trovo ingiusto. Come faccio a separare con una virgola ogni elemento che andrò a inserire in ciascuno dei 3 riquadri rendendo comunque a ognuno di essi la propria porzione di importanza nella mia vita? Voglio dire, c'è stato un momento in cui il libro di algebra mi piaceva davvero un sacco e un altro in cui quello di storia del IV anno mi ha coinvolta intensamente. Ci sono letture e film e canzoni che raccontano di me ciò che le mie stesse parole possono solo lasciare bianco.

Presentazione. Limite max 1200 caratteri: nel tentativo di capire se potessero essere troppi o troppo pochi, mi sono affidata allo stereotipo per eccellenza dell'uomo, ossia la ricerca della felicità. Ecco cosa ha la presunzione di essere questo blog. Un documento in mezzo a centinaia e centinaia di altri documenti che offrono una visione soggettiva delle cose, cioè la mia testimonianza.
Sono Sofia, sono nata a maggio, vivo a Finale e testimonio la mia vita, nella speranza che essa un giorno convoli a nozze con la felicità. 

Ci sono molteplici ragioni per cui un profilo conta, ma non è tutto. 

Il profilo è solo un punto di vista. 
Io vorrei donare tutta me stessa.  

lunedì 3 novembre 2014

Monday morning in Finale: bagno antropologico nella realtà dei miei pensieri.


Con un gesto ormai automatico ho messo gli occhiali da vista, mentre toglievo dalla testa quelli da sole. Ho dato un’acconciata ai capelli, spostandoli dal viso il più possibile. Non amo avere la visuale occupata né tantomeno il solletico che le ciocche possono provocarti quando i capelli sono sciolti. Per questo motivo probabilmente se tenete un’immagine di me, non posso che immaginarla con il mio solito raccolto, che sia normale mattina o un dì di festa. Oggi per esempio è lunedì mattina. Una volta aperti gli occhi dopo una nottata caratterizzata da incubi su uno stalker nano che mi perseguita e il freddo per via del calo di temperatura e delle coperte non sufficienti, mi sono alzata per un appuntamento. Soliti gesti di bisogni fisiologici soddisfatti, incluso attivare il wi-fi per vedere chi mi ha pensato e quali novità si sottopongono alla mia attenzione. Acqua fredda sul volto ancora stirato dalle smorfie consuete di chi mette piede giù dal letto, e latte sul fuoco. Ho un vizio: non mi accontento del latte caldo, no. Così ho comprato un “cappuccinatore” e potrebbe anche non esistere come lemma, al costo di 7 euro. Faccio la schiuma, verso il latte nella tazza a misura, e poi il caffè, formando la classica spirale che poi sembra sempre più una macchia indefinita che altro; un po’ di zucchero e la pillola va giù che guardo morbosamente cadere sotto la densa schiuma e infine, tocco di classe, spolverata di nesquik! E mi chiedo come mai vi sto parlando della mia colazione. Anyway, indossando gli occhiali da soli prima di uscire mi sono sentita come legittimata a tenere quell’aspetto di merda,  e sono andata al mercato con la zia (yes, era questo il mio appuntamento, che ti aspettavi? ). Il primo impulso è stato quello di condividere l’esperienza che mi accingevo a vivere mentre i miei amici si stavano spostando nel mondo chi a lezione, chi a lavoro, chi nella propria vita densa di significato, mentre io andavo al mercato a comprare le calzette che avevo terminato. Ironia portami via. Poi, fiera delle mie scelte e ambizioni comode da casa, ho realizzato cosa avrebbe reso quella mattinata diversa dalle altre e degna di essere vissuta. Si, perché, che vi piaccia o no, sono l’unica tra i miei amici in grado di vivere la poesia di un lunedì mattina al mercato e trasformarla davvero in essa, impedendo che rimanga un momentaneo parto della mia mente. L’impatto non è stato forte, poca gente e poche bancarelle, sufficienti per stimolare quella voglia donna di acquistare ogni cosa, specialmente se davanti ai tuoi occhi si presenta l’ordinato ammasso delle “cose di casa”. Aaaaah, come avrei voluto quei sacchetti della spazzatura! I portatovaglioli in metallo, le mollette per stendere, un set di coltelli per ogni uso, un comodissimo tagliere formato single per la mia totale incapacità di tagliuzzare cipolle e carote per i soffritti del mio cuore! Extrema ratio. Mi sono allontanata a passo svelto direzione bancarella dei “marocchini” che poi se vengono dalla Liberia o dall’Egitto mica possiamo chiamarli marocchini. Questa tendenza a generalizzare mi distrugge, ma ho vissuto  22 anni associando le bancarelle ai marocchini e ora non so come chiamarli davvero! Di sicuro la voglia compulsiva di acquistare diminuisce perché da brava figlia di mia madre so che la convenienza non può prescindere dalla qualità. And so, direzione banco frutta, ma la zia suggerisce abilmente di passare al ritorno. Eccola lì, si materializza davanti ai miei occhi la zona dell’intimo, sentendomi sollevata dal non desiderare le mutandine per neonati, mi dirigo verso le calzette, vera causa di tutto questo tumulto dei miei pensieri. Quando devo acquistare ho le idee sempre abbastanza chiare per cui, verificato che il prezzo era quello che saggiamente mia madre aveva profetizzato, ho esclamato “le prendo!” senza sé e senza ma  3 paia, 5 euro ,in cotone puro, Pierre Cardin, nere, bianche e grigie . Tuttavia non ero ancora soddisfatta. Più volte tentata da mutande e reggiseni, ho canalizzato le mie brame, ridimensionandole. E sono arrivata alla frutta. Letteralmente.  Lì ho lasciato fare alla zia perché ero distratta dall’uomo balbuziente e dell’altro con un occhio ammaccato e non ho potuto fare a meno di pensare a…” 4 pirati sul mar di Sargassi, hanno una zattera fatta di assi, stan navigando dicono loro alla ricerca di un  grande tesoro. Però…uno è alto, uno basso, uno è zoppo, l’altro tiene una benda sull’occhio, stan navigando dicono loro alla ricerca di un grande tesoro!” (digressione musicale, Amen.)
Adesso devo fare una nota polemica alla mia popolazione, che per quanto amo, si rivela per quello che è dandomi costantemente conferma del fatto che le gente si forma a immagine e somiglianza di ciò che vive e difficilmente il modello educativo di riferimento (che in questo caso è un mix di modelli, su tutti quello familiare, a seguire quello religioso ecc..; ma di questo parleremo un’altra volta) è ottimale.  Mera curiosità, presunzione, scetticismo, ignoranza. Questi i tratti negativi che ho potuto riscontrare prestando orecchio a pochi scambi di battute e osservando piccoli gesti intorno a me. Ma, anche nel più buio degli scenari, ho trovato conforto. Una carezza sulla spalla, niente di più. Una signora passando ha poggiato spontaneamente la sua mano sulla mia schiena, e ha sorriso salutando con un semplice “Buongiorno”. C’è ancora speranza. Il ritorno verso casa è diventato così improvvisamente triste, come se stessi lasciando lì l’occasione di vivere altre piccole magie. Condividere è un buon modo per stare meglio anche con sé stessi, così non ho perso un attimo. Ho abbracciato il pc e ho fatto quel consueto gesto con i miei occhiali, cambiando in fondo solo la modalità di me stessa, rendendola più funzionale a ciò che sapevo avrei fatto immediatamente: offrire i miei occhi a chi decidesse di affacciarsi dal balcone della mia fantasia. Questo non sarà redditizio,  non sarà etichettabile e nemmeno conveniente, ma certamente sarà espressione di me stessa. Voi se volete, saltate a bordo, mentre cerco di capire cosa farne.

Lunemente vostra,



Guerriero della luce.