giovedì 31 dicembre 2015

Vivere senza noia

Non siamo sciocchi, oggi non si chiude null'altro che un giorno convenzionale e domani sbaglieremo a scrivere le date  nei compiti in classe, nei verbali, nei nostri diari segreti.
Solo che è sempre prevalente in noi quell'esigenza di ritualizzare e quindi anche io insomma, mi ritrovo qui a tirare le somme. Lo facevamo già alle elementari, un conto dopo l'altro, addizioni su addizioni e poi scrivevamo: "Rispondo: A Ludovico rimangono 5 caramelle".
10, lode e bacio in fronte dalla maestra.
I conti sei costretto a farli prima o poi, e tutti, non appena giunge il 31 dicembre, buttiamo lo sguardo ai giorni trascorsi, col giusto distacco che da solo ci permette di non sbagliare.

Un anno fa brindai nell'intimo cubicolo di un' auto popolata, e fu una bella metafora: la ricchezza dell'essenziale.
Ma rimanevo comunque troppo legata alla paura di quello che sarebbe stato, con uno sguardo anticipatorio e ingombrante  che non lasciava spazio all'hic et nunc.
Quello che so oggi invece, è che non avere paura è difficilissimo e che lo sforzo di metterla da parte rimarrà e persisterà finchè non diventerò una donna migliore e più libera. Ma quest' anno che verrà mi interessa meno, perchè ho molto per cui dire "grazie" alla luce di un passato recente e continuo.

Prima di tutto a me stessa per tutte le volte che mi sono concessa di "sentire" piuttosto che di "pensare", per aver compiuto passi importanti, per aver  uscito la testa della tana e provato a dire: "ehi, non la penso come te!"; grazie perchè il pensiero è diventato realtà quando ho deciso di mettermi in gioco e la mia opinione è arrivata davvero lontano, dove non potevo neppure immaginare. Grazie per la sincerità, per le lacrime e i miei momenti densi, grazie.

Poi per il dono della verità: due frasi mi hanno accompagnato in questo cammino, due asserzioni chiare, semplici e dirette. Da un lato l'augurio intriso di certezza: "che sia per te l'anno della svolta", dall'altro il limite incessante oltre il quale inizia la vita: "non puoi negarti la possibilità di sbagliare ancora". Così mi sono messa in testa di scrivere, di schierarmi politicamente, di ricominciare a studiare, di farlo con gusto.

Dico grazie ancora per i nuovi volti che popolano la mia vita, volti e nomi come Kelo, Bea e Fede che sembra siano usciti dal cappello magico con un colpo di bacchetta, e abbiano preso posto provvidenzialmente al mio fianco, così dissimili quando parliamo, così simili quando comunque ci capiamo. E altri nomi consueti, ribattezzati nell'accettazione del cambiamento mio e loro, ma legati da quel filo di seta indistruttibile.

Grazie a chi crede in me ogni giorno, per gli attestati di stima e per i "no" ricevuti; grazie a chi condivide tacitamente la responsabilità di un ruolo a volte pesante; grazie per i tuoi limiti, perchè li hai confessati. Grazie per i miei limiti, costanti punti di partenza. Grazie per la musica, che affranca l'anima, per il sonno della notte, per il cibo sano e buono, per la campagna, per il mare, la montagna e quei panorami pazzeschi. Grazie a questo blog che mi fa stare bene, grazie per i piccoli progetti di ogni giorni e quelli grandi che non vogliono smettere di imparare.

Grazie perchè si ringrazia davvero solo quando ci si sente riconoscenti alla vita, e chi è grato è grande. Grazie per il motto che da ieri mi accompagna, che prende posto di #mipisto, che pure mi ha regalato tanto gioie. #Viveresenzanoia sarà l'unica cosa che conta già: è facile, puoi provare anche tu.
Si parte dal presupposto che la vita è un dono, ciò implica profondo rispetto per il tempo che passa e gli ingranaggi si muovono quando fissi degli obiettivi piccoli e grandi, a breve, a medio e a lungo termine. E' un cubo di Rubik dove le combinazioni possibili sono infinite e ad ogni mossa ne cambi qualcuna: il segreto è la costanza, il risultato è il cambiamento, l'evoluzione. Vivere senza noia è lavorare ogni giorno, ma con uno spirito diverso, capace di rinnovarsi, che abbia rispetto per le tue passioni e volontà, che fare una cosa senza voglia è morte. Il dovere deve diventare una contingenza favorevole, un compromesso sensato, altrimenti sei fuori.

Vivere senza noia, il gioco che aspettavi.

Buon 2016!

giovedì 24 dicembre 2015

Caro Gesù Bambino #4

Caro Gesù Bambino, 
l'attesa della tua venuta sta volgendo al termine, la notte delle notti si sta per compiere ma il mio
cuore è ancora carico e appesantito da questo tempo di incertezze e incostanti rese. 
Così ho ritardato il momento in cui avrei fatto lo sforzo di ritornare all'essenziale, al nostro appuntamento che è ormai diventato un rito. L'esigenza di dialogare con Te si è fatta forte proprio adesso che l'essenziale mi sembra così ricco e la testa carica di pensieri si arrende alla volontà di lanciarsi per cadere all'indietro come da un palazzo altissimo e nel volo limitarsi a guardare il cielo.  
Nell'immensità è così complicato orientarsi! 

L'ultimo passo è sempre un passo nel buio: non sapere cosa ci aspetta è il rischio da correre per accogliere quel cambiamento tanto atteso. Lasciarsi andare è un fatto di stomaco: è l'attimo in cui anima e corpo scelgono insieme la biforcazione al bivio tra affidarsi e negarsi. Ma prima è necessario percorrere una almeno una strada. La mia è stata piena, lo è tuttora e sono molto grata per questo. Quando si è fatta impervia ho sentito la fatica, quando ho condiviso un tratto ho sentito il passo leggero, quando seppur dritta l'ho percorsa da sola mi sono sentita incompleta. 
Ma i momenti migliori sono stati senz'altro quelli in cui mi sono resa conto dell'importanza del cammino, della pericolosità di rimanere ferma a guardare. 

A lungo ho cercato una carreggiata su misura per me, illuminata abbastanza, confortevole alquanto, lineare e semplice. Ma è stato solo quando mi sono incamminata che ho potuto verificarne lo stato. 
La straordinarietà di questa storia non risiede nel coraggio, non esistono eroi, non lo sono affatto. Ho legittimato il mio percorso investendolo di unicità solo quando ho potuto assaporarne l'ordinario. 
Ho l'impressione, caro Gesù, che ciò che è veramente grande io debba ancora incontrarlo: l'amore ad esempio. La scommessa non è trovarlo, non è cercarlo, non è possederlo. Nessuna scommessa è affanno: l'amore è fiducia mossa da un'inquietudine naturale. Il bisogno di contenere l'altro esige un'apertura ad esso. Una disposizione che è anzitutto abbandono di sè, un segreto sottile quanto complicato. Farsi altro, sentire l'altro, essere altro. 

Non è forse questo il tuo segreto, Gesù? Non è forse per questo che sei stato mandato? Non sei tu un grande atto d'amore? 
Dio si è fatto Uomo, ha mandato Suo Figlio perchè potesse salvare l'Umanità. 
Questa non è la risposta alle questioni esistenziale che attanagliano l'uomo. 
Questo è il mio Natale: la più bella e vera contraddizione. 

Così, ho sorriso dietro il vetro di una finestra sul mare con l'acqua limpida da poter vedere il fondale, il sole battente che vivifica i colori, l'aria fredda che rende tutto più speciale e non mi è sembrato affatto insolito per questo dicembre; ho sorriso allargando lo sguardo su un altro cuore impaziente, virtuoso, valente, splendido, un cuore incastonato in un vulcano di bellezza ed emozioni, intriso di speranza, bisognoso dello stesso grande amore e non mi sono stupita del fatto che tale bellezza fosse reale e fosse di fronte a me. 

Caro Gesù Bambino, vorrei ridurre questa preghiera all'essenziale, così Ti amerò stanotte, nudo e regale, semplice e potente. A te solo oggi posso innalzare il grido silenzioso di un cuore trepidante e desideroso che ha imparato a chiedere, che vuole imparare a donare.  

giovedì 3 dicembre 2015

Sabbenerica, Nonno

Oggi abbiamo salutato il nonno, ma più ci penso più mi rendo conto che è corretto dire "oggi ho conosciuto meglio il nonno"...

Quando mio padre 29 anni fa lasciò il suo paese per costruire una nuova famiglia qui dove viviamo, inevitabilmente prese le distanze dalla realtà che lo aveva visto crescere. 
Non ho mai riflettuto su quanto questo possa avere cambiato le cose, influendo sui legami della nostra vita. Legami forti e saldi che comunque si sono mantenuti e sono cresciuti, legami che di speciale hanno soprattutto quello che non si dice, che si da per scontato, che è naturale. Un legame che sai che c'è e basta, che si nutre della stessa sicurezza che emana: un legame di famiglia.

Forse per questo e per l'interminabile scorrere delle ore degli ultimi due giorni, il bagno nei ricordi mi è sembrato come immergersi in acque nuove e sconosciute, dove l'eccesso emotivo ha prodotto sorrisi e lacrime allo stesso modo, un bagno a metà fra che ciò avevo vissuto e ciò che mi ero persa perchè lontana, perchè distante, ma che tuttavia mi sono permessa di immaginare, oggi che il tutto era soffrire, era andare.

Devo essere stata una bambina antipatica, e non devo essere sembrata felice durante le nostre visite domenicali. Non saprei dirlo, ma so che le volte migliori sono state quelle in cui insieme le combinavamo: come quando cambiammo la disposizione dei quadri del soggiorno in quella casa dove ricordo esserci solo una stanza per piano, e salire fin sù era una conquista rara, e quel lettone sembrava avvolto da un velo di mistero e grandezza, agli occhi di una ragazzina impudente ma sensibile. 

Poi era tipicamente Natale e arrivavamo di mattina intorno alle 10, nelle fredde e umide mattine in cui, finchè non eravamo veramente tutti, non sembrava festa. Ma il nonno era pronto già: alto, magro, i capelli bianchi, pochi invero, gli zigomi alti che salutarlo era come scontrarsi in pista da ballo, il naso lungo che mio padre ereditò smussato ed io presi infine misurato (ma ne riconosco il tratto slanciato, bello, oserei dire importante), mentre in Tv ascoltava il concerto di musica classica che amava, stando seduto sulla sdraio che guai a sedertici per un attimo...

Era pronto: sentiva il rumore della macchina e affacciava al balcone, poi ci accoglieva con un sorriso di felicità; spariva per un attimo e ricompariva con aria compiaciuta, finchè non tirava fuori le banconote da 50 e ce ne dava una per ciascuno, indistintamente. 

Non parlava molto, ma di certo osservava tanto: interveniva quando bisognava che la smettessimo di importunare la nonna che già da un pò aveva smesso di ricordare, di riconoscere, di dialogare con tutti noi. Anche quando si "armava" al gioco delle carte , prendeva posto silenziosamente e agiva da intenditore, poichè trascorreva ogni giorno i pomeriggi al circolo. Certo, lo scopone richiedeva un'abilità non da poco e si arrabbiava se sbagliavi a giocare la tua mano. Il suo tono rauco e profondo non era mai eccessivo, era un uomo pacato. Non ricordo di averlo mai visto seriamente arrabbiato, forse per preservarci dalle questioni che richiedono severità. 

Era saggio proprio in virtù di questo silenzio, come chi ha vissuto a pieno un'esistenza costellata di cose e persone: la vendemmia, il motozappa, la vita sociale tra i coetanei, le tradizioni impresse nella memoria del cuore, il rispetto espresso in quel sottile "sabbenerica" mai negato ad alcuno. Fino all'ultimo periodo in cui al circolo non era più voluto andare, e che sentiva le forze lasciarlo, tu lo sapevi che stava arrivando il momento di andare, quando hai chiesto la pizza per un'ultima volta e ti arrabbiasti per quel mancato appuntamento di una domenica di qualche mese fa. Ma non provo rammarico: con il cuore strisciato come l'asfalto e mille e più preghiere in testa, sono venuta a salutarti, senza quell'angoscia che ci prendeva ultimamente quando andavamo via e inevitabilmente ci domandavamo se fosse stata l'ultima. Buffo come ad ora non ricordi quel momento, probabilmente perchè in compagnia del tuo solo respiro abbiamo fatto ancora festa insieme.

Sei stato coraggioso, eri pronto anche quel venerdì, nonostante le lacrime, unico segno di paura e commozione quando le parole sono diventate troppo difficili da pronunciare. Solo un uomo come te poteva trovare il coraggio di amare in eterno, di creare un legame di unione che ha portato frutto ogni giorno per quasi 60 anni; insieme con la nonna Giovanna e una grande famiglia come sono grandi le famiglie quaggiù, insieme punti di riferimento ed esempio: il nonno mi ha insegnato la lezione più grande mostrandomi come l'amore vada oltre la vita stessa, vada oltre l'esserci. L'amore che accudisce e risana le ferite, l'amore che condivide il dolore e lo supporta, l'amore che nella longevità è capace di schioccare baci forti e privi di vergogna, questo amore è stato in grado di coltivare e possedere, come il dono più prezioso, come la ricchezza più grande.

Era un padre, il padre di mio padre e pertanto mi ha lasciato in eredità un nome e cognome che mai come oggi sono fiera di portare, perchè ne ho scoperto l'identità più profonda, sancita da quel gesto sincronico di quanti oggi al tuo passaggio in piazza hanno calato la coppola dalla testa e hanno abbassato lo sguardo a te, certamente dicendo tra se e se "Sabbenerica Vossia", e tu che la coppola ce l'avevi accanto perchè non volevi andare via senza, avrai risposto "Sabbenerica".

E allora, che tu sia benedetto nonno, 
ora e sempre, benedetto da noi tutti, 
benedetto tra gli angeli del cielo; 
che tu sia benedetto accanto al Padre,
là dove non serve nemmeno respirare
e il battito del cuore è solo riposto
più forte
nel petto di chi hai protetto per restare.




mercoledì 25 novembre 2015

Un nuovo rito


"Che cosa è un rito?" disse il Piccolo Principe.
"Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe.
"E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. 
C'è un rito per esempio, presso i miei cacciatori. 
Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio.
Allora il giovedì è un giorno meraviglioso!
Io mi spingo sino alla vigna. 
Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi
i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza."

(Antoine De Saint-Exupery - Il Piccolo Principe)

Il Piccolo Principe potrebbe essere una continua citazione, un continuo spunto, una continua riscoperta. E' uno di quei libri che andrebbero letti in diversi momenti della vita, per raccontarci ogni volta una storia solo apparentemente uguale, e per aprire finestre della nostra esistenza che non sapevamo di avere, che avevamo sotterrato o solo messo da parte. Non c'è  da stupirsi perciò se parto proprio da questo, da uno stralcio di dialogo dell' indimenticato incontro tra la volpe e il Piccolo Principe. Forse non è tra i più ricordati, tra i più citati nei post di tumblr, ma la metafora del rito mi ha riportato ai fatti di questi giorni e al mio rapportarmi con essi.

Oggi per esempio, abbiamo tutti detto "No" alla violenza sulle donne: noi, tuttologi praticanti la nostra professione sui social, abbiamo condiviso più o meno consapevolmente un pensiero, dietro cui sta un'idea ben più ampia, ben più complessa e articolata, di cui le immagini "panda" (così sono stati ribattezzati i visi macchiati dagli ematomi procurati dai colpi maschi) sono solo la punta dell'iceberg.

E' successo oggi perchè il 25 novembre è la giornata contro la violenza sulle donne.
Un rito.

Il 27 gennaio sarà anche quest'anno il giorno della memoria della Shoah. Il genocidio degli ebrei avvenuto 70 anni fa e che sovente commemoriamo con manifestazioni, simboli e suoni di tromba. Tuttavia questo non ha impedito che scoppiasse un'altra guerra, o meglio che le guerre cessassero di esistere.
Infatti se alcuni imbracciano i fucili e sparano su folle, fanno la guerra.
Infatti se gli aerei lasciano cadere le bombe sulle terre contese per le loro ricchezze, fanno la guerra.
Infatti se gruppi che si dichiarano religiosi si fanno saltare in aria nei tram, nelle piazze e negli aerei di linea, fanno la guerra.
Infatti quegli ebrei sono morti invano.

Senza il rito della danza del villaggio, la volpe non poteva avvicinarsi alla vigna a fare (la sua) festa.
Exupery descrive un equilibrio: un tacito compromesso fra l'uomo e le creature per garantire il naturale ciclo vitale. Dal giorno dopo infatti, sarebbe ripresa la caccia.
Ma i riti di oggi sono solo delle buone scuse per l'uomo, i riti non cambiano le cose, le scandiscono: ricordarci che una cosa è sbagliata, non ci impedisce di farla comunque.

Qualcosa ha appiattito le nostre esistenze, e quindi le nostre coscienze. Abbiamo smesso di incontrarci per ristabilire i naturali equilibri, abbiamo smesso di sederci attorno a una tavola la domenica e mangiare primo e secondo, abbiamo smesso di invitare un amico a bere un caffè, abbiamo smesso di telefonare per chiedere "come stai?", abbiamo smesso di qualificare le nostre vite con i riti che scandivano l'esatta misura del tempo. Li abbiamo sostituiti con riti di facciata: con messaggi estemporanei, con parole brevi e vuote, con foto che immortalano la prossima corsa al "Mi piace".
Privandoci dei riti, abbiamo svuotato noi stessi della nostra essenza: l'umanità.

Da questo alla guerra il passo è stato graduale: secondo qualcuno la guerra è connaturata all'uomo, probabilmente al suo stato primordiale. Se le tribù africane si fanno la guerra, è perchè non hanno ancora vissuto la loro evoluzione, non hanno conosciuto un medioevo, un umanesimo, un rinascimento, un illuminismo, un esistenzialismo.
Non tappe obbligate, solo la nostra storia. E se nonostante questo l'uomo è tornato a farsi morire con i proiettili, è perchè abbiamo stoppato l'evoluzione delle nostre coscienze, avendo occhi su tutto, abbiamo smesso di interrogarci su qualche cosa, dando per scontata una realtà celata da un nuovo velo di Maya: lo schermo digitale.

Ma che può saperne una 23enne che vive in un paese di 2000 anime?

Da qui vedo il mare, alle spalle le montagne: sorge un sole meraviglioso, si respira aria pulita. Ma qui fatico a incontrare l'altro, a farlo schiudere dalle sue croste putride di conservazione e consumo.
E per quanto mi sforzi, ritorno sola al solo annerire di pagine.
Così battezzo un nuovo rito, per non morire ancora: sotto quel sole, davanti a quelle montagne, sul balcone che si affaccia sul mare, riconoscerò un piccolo principe che ho incontrato, che incontrerò
e sarò più umana, e sarai più umano.

domenica 25 ottobre 2015

Le mie domeniche bestiali #2


Logiche inarrivabili finché non le vivi, finché non ci sei dentro. È una lezione che non impari una volta sola, ma ogni volta si ripete. Ho smesso di costruirne un film di cui non ero più neanche protagonista, se credo nel divino, devo attuarlo nel reale. Solo così, standoci dentro finché non hai male ai muscoli, finché perdi la voce e il vento arruffa i capelli, quando lasci andare le paure e dai spazio solo alla fiducia, quando mandi in frantumi il gesso del formalismo e ti animi, solo così esce fuori te stesso, quello sconosciuto soggiacente, incontra te e trasforma il mero equilibrio in preziosa armonia, sprigiona il vero taciuto dal convenzionale, diventa la tua personalissima poesia. Comprendi il senso del lasciare, l'importanza dell'andare e la bellezza del rimanere: scopri novità sul tuo conto che rinnovano il modo di vedere il mondo, gli altri e infine te stesso. Un'altra domenica bestiale, un altro viaggio. Le bionde certezze, gli sguardi complici, gli abbracci sicuri, le parole mai scontate, la misura giusta, i caffè all'inizio del giorno e l'ultimo dal sapore malinconico,  i punti di riferimento di sempre, l'osservatore lontano che si unisce al coro riconoscendosi nell'unico simbolo che accarezza tutti, un segno di croce sincronizzato in quanto puntuale e preciso. E ancora il misurarsi, la naturalità di gesti e note, come un copione già usato, che riproponi perché è bello e basta. Lo sforzo nel comprendere, la curiosità dei ragazzi, la loro voglia indiscreta, attenti, altamente pretenziosi e severamente critici. Genuini. Esemplari. Preziosi. La riserva di adrenalina alimentata dall'esigenza di amore, e più ami più canti, e più esigi e più dai, la formula perfetta, il segreto immacolato, il divino nell'umano, l'azione trasparente del Dio progettante si fa storia con l'io narrante. Una pagina colorata di creatività e calore, un disegno poderoso, una chiara Bellezza. Perciò mi sta a cuore, essendo essa stessa io, oggi nell'impavida veste della mia domenica bestiale.

martedì 13 ottobre 2015

Tu chiama piano

Avrei voluto dire qualcosa.
Non poteva essere un caso, non così: con il vento che si faceva sempre più forte e il giorno che diventava sera attorno a noi. Le macchine si inseguivano senza fretta e i loro rumori non mi recavano disturbo, il flusso di ragazzi si ripeteva incostante nel suo saliscendi consueto, con chissà quante storie su quelle gambe, con chissà quali emozioni e quel minimo comune denominatore che li rende categoria di questa società. Solo per pochi attimi mi soffermai sul loro viavai e sulla strada, per il resto riuscivo a sentire persino le orecchie tese e l'animo dispiegato. La bocca si era asciugata nelle parole spese per darmi ragione di un'irrazionalità pressante, nello sfogo di una descrizione in cui i silenzi lasciavano spazio all'irrisolto. <<Non è la soluzione>>. Quelle parole rituonarono nella mia mente a lungo, aprendo con delicatezza la porta delle verità più profonde. Il suo volto era così dolce: stava seduta con la schiena curvata in avanti, scomposta, mentre la testa sembrava volersi fare sempre più piccola tra le spalle, racchiusa poi dalla folta chioma nera. Non riusciva a non mangiarsi le unghia, così teneva alcune dita della mano e le pizzicava continuamente. Parlava tanto, spesso ribadiva gli stessi concetti, ma non era mai stancante ascoltarla. Esattamente come ricordavo che fosse. Quando non ero io a dire da me con sincerità quello che pensavo, lei riusciva comunque a leggerlo e sbattermelo in faccia forte, ma senza fare male. Non so come ci riuscisse, non so dove trovasse quella misura perfetta. So che su quella panchina di legno il tempo sembrava non essere passato, almeno per quanto riguarda quel luogo dell'anima dove teniamo gli affetti più cari, i legami di vita buona. I suoi occhi si fecero gonfi e si riempirono di rossore, tratteneva a fatica le lacrime.
Avrei voluto dire qualcosa.
Ma le parole si fanno burle di noi quando dovrebbero garantire la loro parte. <<Mi dispiace...>> fu il massimo che riuscii a pronunciare, fin troppo consapevole di non avere armi, di non avere ancora una volta la soluzione. Accettai di non essere un eroe e feci l'unica cosa che trovai avere un senso in quel momento, cercando il suo sguardo, sostenendo così il suo dolore. Ci fu un tempo in cui rinfrescavamo le ferite tamponandole di abbracci e custodivamo il dono dell'incontro condividendo l'intimità del sonno. Poi accadde la vita e cadde violentemente là, dove le macchine passano senza fare troppo rumore e i passi si sprecano nelle suole di gomma: qualcosa si è spezzato, qualcosa è rimasto intatto.
Avrei voluto che la bocca riuscisse a dire quello che il cuore gridava.
L'unica risposta, se c'è stata, è rimasta sospesa nel vento della sera ormai fatta convinta.
Chissà se con la sua misura perfetta l'ha colta, chissà se la custodirà, tirandola fuori quando bisognerà solo andare avanti. Allora "Tu chiama piano ed arriverò io, in un attimo, quell'attimo anche mio".

martedì 6 ottobre 2015

Ottobre

La cosa che preferisco di questo posto è che può essere ciò che voglio: un giorno è il mio diario, un giorno il mio reportage, un altro il mio banco di prova, oppure il mio laboratorio. Oggi è il mio flusso di coscienza, un esperimento che consiglio di fare a tutti. Scriverò senza regole, senza logica, forse addirittura senza punteggiatura. Scriverò per il piacere di farlo, per catalogare dentro di me i pensieri, come quando facciamo ordine in stanza e buttiamo alcune cose, quelle che non servono effettivamente o quelle troppo vecchie. Butterò anche quelle che non sono mai esistite, perchè sanno troppo di astratto.

 Mi sono data degli orari e in linea di massima li rispetto: le mie giornate sembrano essersi rimpicciolite, ma la sensazione di non riuscire in quello che mi prefisso per il giorno si fa sentire lo stesso; questa nuova vita esige una scansione, esige regole, ma soprattutto un metodo. Ci sono cose che sono diventate facilissime come fare sintesi, e altre difficilissime, come iniziare una nuova serie TV. Badate che per me le serie TV sono importanti tanto quanto un capitolo del manuale che mi guarda dalla scrivania. Ma a questo vorrei dedicare un altro post, un'altra finestra. Mi sento molto coinvolta ma anche tanto impacciata, mi sforzo di pensare solo giorno per giorno dentro la programmazione dell'obiettivo minimo. Mi rassicura il tempo, ma non voglio perderne. Mi piace lasciare spazio all'improvvisazione e ritrovami in sella alla bici in orari anomali, anche solo per un pò. L'aria addosso mi fa sentire bene, mi rinfranca, anche se quando mi fermo mi sento accaldata. Mi piace scampanellare ed evitare i dossi, mi piace pedalare lentamente per il gusto di osservare gli alberi e le case, le strade, il fango, l'erba, il cielo, il mare, e molleggiare sul tratto in pietra che mi porta fino alla Torre, entrare e raggiungere il balcone. E non importa se è cupo o c'è sole, non
importano umidità e vento, devo assaporare quello scatto e ricaricarne l'effetto nella mia testa. E' una possibilità più unica che rara: rimirare lo stesso luogo in centinaia di sfumature differenti. Non stanca. Non mi stanca. Poi riprendo la strada e pedalo fino a fuori, dove il sole tramonta per ultimo e arriva ancora un pò del suo calore. E' ottobre: gruppi di ragazzini corrono per strada come se inseguissero un gatto, ma vanno anche loro verso il loro posto, quello che scelgono quel pomeriggio. Conoscono tutte le strade, non vogliono nascondersi, le sentono loro, non devono chiedere il permesso. Bazzicano impunemente sudaticci e boccacceschi, scendono fino al mare o raggiungono il parco giochi, a volte entrano nei negozi per acquistare chissà cosa. I più grandi sono dislocati tra il campetto comunale, dopo essersi organizzati sul gruppo pensato apposta su what's app, i muretti del parco dove qualcuno sosta anche con la macchina, neopatentato, e i tragitti che dividono le loro case dalla palestra o dalla cartolibreria, dove ricevono l'ultimo libro di testo appena arrivato. E' ottobre: le mamme chiaccherano in piazza mentre i figli piccoli giocano con i loro tricicli o monopattini oppure ancora con una palla nello spazio rimasto a loro più fedele possibile, per questo vuoto, per essere riempito dalla loro fantasia. Nei tavoli del bar permangono i soliti amanti della birra in bottiglia servita ghiacciata, commentando i match del campionato di serie A e, con la stessa importanza, quelli di terza categoria. Le donne più anziane e qualcuna di mezza età all'orario si dirigono verso la chiesa, dove sarà celebrata l'Eucarestia o, se il parroco non c'è, la liturgia della parola, ma loro non mancheranno l'appuntamento. La nazionale che attraversa il paese è la strada più vivace, le macchine si accostano ambo i lati fregandosene dei segnali di divieto, cerco di non dare fastidio a quelle che invece transitano normalmente e prendo su per traverse a caso, spostandomi dove si respirano i profumi di cucinato. Il vicinato tende ancora a raggrupparsi davanti le entrate di casa più spaziose, per tenersi compagnia, attenti osservatori del flusso che non cambia, informati su tutto, anche su quello che non avresti voluto sapere, è fondamentale, per loro, offrirti quell'informazione al sapore di conquista. Non mi soffermo mai a lungo in un punto, preferisco registrare il moto continuo e riempirmi di ciò che mi circonda. Se tra i miei pensieri persistono dei visi in particolare, è quasi certo che li incrocerò davvero, così mi sembra di incontrarlo con frequenza, me è solo nella mia mente che persistono, come se fosse rimasto qualcosa di taciuto tra noi. Ticchetto il campanello solo con chi ho una certa confidenza, non voglio risultare invadente. A volte ho l'impressione che la gente vada di corsa anche qui dove il tempo
sembra essere costantemente in ritardo. Se non fossi ingessata nelle convenzioni, mi fermerei a parlare con tutti, anche con chi mi sta antipatico e spiegargli perchè. Non c'è qualcuno che preferisco non vedere, mi piace la gente qui, ha le sue stranezze, le sue singolarità. Sono le considerazioni nel complesso che non mi piacciono, ma quelle sono inevitabili quando si tirano le somme. E' proprio questo il concetto di comunità, e il tirare le somme non è altro che dare attributi alla comunità. Così ciascuno degli abitanti di questo luogo è affezionato alla propria casa, per dire. eppure sento di dire più o meno certamente che questa comunità non sente il senso di appartenenza a se stessa. A me non spetta giudicare, ma mi è possibile osservare, ed è ancora più impegnativo condividere quello che si pensa. Quando incontro i miei coetanei fuori da qui e riflettiamo su uno stesso argomento, poi mettiamo in comune quello che abbiamo pensato; così torno a casa con la mia meditazione personale nel bagaglio, ma anche con quella dell'altro. Questo è un concetto facile da comprendere. Tuttavia spesso mi capita di interagire con la mia gente di qui, e di tornare a casa svilita per via del suo essere pervicace a tutti i costi. O del mio essere poco capace di ascoltare. E' finita la vendemmia, è arrivato il tempo delle olive. Mia madre schiaccia quelle verdi, poi le lascia in acqua e sale diversi giorni, infine riempie una ciotola scolandone un pò e le condisce con olio, origano e aglio. La scorsa domenica la nostra tavola era ricca di prodotti semplici e buoni: c'erano le melanzane fritte ricoperte con salsa e spolverate con la ricotta, una bella frittata di patate e dei funghi porcini ottimi. Dopo pranzo ho glissato sulle faccende e mi sono stesa sul letto accanto a papà. Poi abbiamo guardato insieme la partita dell'Inter che ha pareggiato. Ora è seconda in classifica, mentre la Juve inspiegabilmente è giù in fondo. A noi in fondo non interessa, ma ci piace prendere in giro lo zio in uno scambio ironico che allieta i
momenti insieme. Non tutto è così roseo come descritto, ma ho citato la mia famiglia solo per dire che essere comunità è faticoso, è stressante, a volte ti sta stretto e a volte vorresti andare a vivere da solo. Ma poi arriva la sera, ripensi ai momenti vissuti e ti rendi conto che non sarebbe altrettanto bello, altrettanto vero, altrettanto ricco, se non fosse così arduo. Oggi ho scoperto che ottobre è il mese della capra e che esiste una pagina esilarante su facebook che consiglio a tutti: "Capre che salgono su cose". Ottobre è il mese del rodaggio, è "di nuovo" ottobre, ma è anche un "nuovo" ottobre. Una nuova possibilità.

martedì 8 settembre 2015

Zona Policlinico, un'altra primavera


Itaca è sempre stata vera, reale.
E' la lettura che diamo alle cose che cambia le prospettive.
Se riusciamo a sentire con la pancia,
anche i nostri occhi vedranno la direzione. 
Questa ragazza ha imparato a leggere
i segnali indistinti del proprio essere. 
E adesso è cresciuta. 

Palermo,19/04/2013

Zona Policlinico.

Una finestra in mezzo a cento altre di una via in mezzo a decine altre in una città, un pomeriggio di primavera. Non ci si ferma ad ascoltare il canto degli uccelli quando cinguettano, perché non ci siamo abituati o forse perché non abbiamo mai osato farlo. Eppure scorrono parallele le loro vite alle nostre. Fastidiosi rumori di città poi, movimento continuo: motori di macchine che sopraggiungono sempre più forti e vanno via di nuovo portando con sé gradualmente quel trambusto, rumori forti e insostenibili di marmitte ormai andate e voci; voci cupe per lo più, voci maschie, che mettono insieme parole di una lingua che con difficoltà assimileresti alla tua, raccontano il poco di un improvvisato meccanico di Ballarò. Odori. Come guardare figure di uno stesso quadro: cambiano man mano che sposti lo sguardo. Anche gli odori, se muovi un passo si mischiano quasi impercettibilmente fino a farsi accettare dai tuoi sensi, che verosimilmente, accogliendoli, li eliminano. Non solo rumori e odori, non solo. All’improvviso il canto africano di una donna che tiene pulita la casa o la casupola, o per meglio dire, la baracca. Eppure sale un canto sereno e le parole nell’aria cosa dicono non conta ormai, voce candida, pulita e docile di madre. Un uomo,  nella stessa casa, chinato, strofina un panno nell’acqua di una bacinella di plastica: schiuma e acqua che si infrangono nelle sue mani. Scene di quotidianità semplice racchiudono la poesia di una vita chissà quanto piena di vita stessa. Case e casupole e rumori. Chiudo bene le imposte alla sera, quasi a volere impedire a quel mondo di entrare ed entrarmi dentro, così che non possa valicare le schermate della mia anima fragile, talmente ostinata a mantenere il suo assetto di villeggiatura. Come se dovesse finire presto. Come se non durerà a lungo. Silenzio. Mura che raccolgono solo respiri, luce fioca che si fa buio mai troppo in fretta, tempo che non vuole trascorrere, anima che vuole fuggire, anima che trova ristoro solo in carta e parole. Tempo che non vuole passare, insostenibile pena della vita che colpisce. Ricordi. Albergano nel passato, affacciandosi di tanto in tanto sul davanzale della mia testa. Quando tutto era diverso. Qualcosa meglio, qualcosa peggio. Quando tutto andava pure come ora, senza sapere dove, ma non era importante. Campana di vetro la vita passata. Campana che non suona la vita ora. Sera di una primavera gioiosa. Una macchina ferma ad aspettare il mio arrivo, il pensiero di momenti ancora tutti da trascrivere nella memoria. Affetti. Visi conosciuti che amo, sensazione di pace meritata il mio tempo con loro. Baluardi del mio naufragio non ancora consumato, caposaldo della mia salvezza. Desideri. Anime che devono ancora incontrarsi e anime perdute nell’ultimo abbraccio mancato, nella disperata speranza del ritorno, nell’illusione del cambiamento. Sopravvivenza. Quando questa storia non parlerà di emozione ma solo di apatia e rifiuto. Nostalgie e sogni. Sogni. Sbiadite immagini partorite con sforzo, assenti nel sonno della notte. Richiamo. La resa del silenzio: il suono. Saliva inghiottita prima di un respiro. E aria inspirata nei polmoni risale e si trasforma nella dolcezza di un semplice sorriso. E’ finita.
               

                                                                                                                                            

giovedì 20 agosto 2015

Prologo

Descrivi il caos.
Sorrise con aria sicura, come se quel compito non la mettesse in difficoltà. Faceva sempre così di fronte alle prove, o se riceveva un rimprovero. Era il suo modo di recepire il colpo, fiera, perchè qualunque fosse stato l'esito di quei momenti, non rimaneva mai sorpresa. Sembrava così forte fuori, mentre dentro moriva. In quei giorni si aggirava camminando ovunque andasse come uno specchio in frantumi e rimesso insieme con l'adesivo, così fragile che un soffio di parole dolci, o solo accorte, l'avrebbero definitivamente atterrata. Non aveva mai negato a nessuno la sua anima, e adesso la sua anima negava ogni tentativo dell'altro di farsi spazio. Una corazza di follia, incidentata ripetutamente e schiacciata dal peso insostenibile degli sguardi vigenti. Eppure aveva una grande inquietudine dentro che attendeva di venire fuori come una tempesta di vento che sposta l'ordine naturale delle cose, che abbatte i pali, che alza polveroni per strada. 

Così cominciò:
<<Il caos è silenzioso, lento, furbo, irremovibile, irrispettoso. Il caos è ciò che accade quando ti accorgi che il tuo metro di paragone nella vita sono gli altri, per esempio. Oppure quando la paura di fare un passo in qualsiasi direzione ti blocca perfettamente nel mezzo della strada e le voci, come auto nel traffico che battono sul clacson, ti suggeriscono la mossa; e tu vorresti farla, vorresti dare compimento a ogni suono, ma resti paralizzato e non puoi vedere cosa impedisce il regolare transito. Caos è il battito del tuo cuore che combatte il panico, è soffermarti su un momento, un viso, un'immagine, un luogo e sentire l'aria mancare. Caos è piangere e gridare e battere i pugni perchè forse solo così capiranno quanto male hai, quanto male fa, quanto sei stremato dalla lotta. E' ritrovarsi soli e sentire la solitudine spegnere ogni tua voglia, ogni piccolo sogno che si dissipa nell'oscurità. Caos è una volta. Poi passa. Può durare qualche giorno o qualche settimana; sa ritrovarti, sa inseguirti, sa avvelenare le tue serate di spensieratezze, ma in definitiva il caos è tuo, come ogni sorriso e ogni gioia. E' tuo come sono tue le scarpe. E ognuno c'ha il proprio, e ci fa i conti sempre.>>

Caotici sono stati anche gli ultimi giorni in quel di Itaca. C'era una ragazza impaurita come la prima volta, c'era quella stanca e senza entusiasmo, c'erano la giovane frizzante e quella riflessiva, l'arguta e la saccente, ce n'era pure una nuova, sconosciuta. E tutte si sono date da fare. Hanno cantato, ballato, pregato, riso, si sono commosse, si sono meravigliate e hanno fatto a botte tra loro. C'erano anche altri che a volte la osservavano, oppure hanno usato indifferenza o freddezza. E lei si è accorta di tutto. Adesso il mare della sua vita si sta alzando, le onde iniziano a incresparsi di bianco e il colore della superficie si fa più scuro. Mare incazzato. In rivolta. Si piega su se stesso ad ogni sbattimento, si ritira e ricomincia. Il suo caos è un mare in tempesta. 
Stolta. Cieca. 

Ascolta la Sua voce. Mangia il Suo pane. Fatica ad ogni passo. Contempla le Sue grandezze. 

Sorrise con aria sicura, come se quel compito non la mettesse in difficoltà. Faceva sempre così di fronte alle prove, o se riceveva un rimprovero. Era il suo modo di recepire il colpo, fiera, perchè qualunque sarebbe stato l'esito di quella sfida, era il momento di viverla. 



mercoledì 15 luglio 2015

Lo stato delle cose

Cantiere abbandonato
 Il mio scarso spirito avventuriero mi ha condotto un pò più lontano del divano di casa; proprio oggi che l'aria è così afosa e cupa, di quelle che si forma una cappa di nuvole nel cielo e sembra non esserci via d'uscita per chi vuole rinfrescarsi. Ma sta di fatto che ho deciso di indossare le mie Air Max e mettere uno zaino in spalla, per essere più libera nei movimenti. 
-Fai una passeggiata tra gli scogli - mi avevano detto - incerta se si trattasse di un consiglio da prendere alla lettera oppure una metafora da sciogliere, mi son decisa a scendere le scale e andare, che tanto qualcosa si sarebbe sciolto comunque; la mia stessa pelle, infatti, poco dopo grondava di sudore da fare schifo ma, con mia grande sorpresa, i liquidi superflui del mio corpo non sono stati il ribrezzo più grande. 

Finale, borgo a mare, Sicilia settentrionale. Si studia nei libri di geografia, ai miei tempi sussidiario comprendente diverse materie, che la caratteristica della costa siciliana è senza dubbio il suo essere rocciosa, con promontori che scendono a picco sul mare per qualche decina di metri; a tratti, questo tipo di paesaggio lascia posto a piccole baie e rientranze che danno vita a meravigliose spiagge che nulla hanno da invidiare ai tropici. 

Dopo questa digressione in premessa, va precisato che Finale si affaccia proprio su un tratto di costa ricco di scogli e grosse pietre. La spiaggia non è attrezzata in alcun modo e l'accesso in acqua è pericoloso, in quanto formato da un tappetto di pietre ricoperte di "lippo". Ma la bellezza paesaggistica è invidiabile: panorami e tramonti mozzafiato e non si dica che non pubblicizzo il posto in cui vivo che, per la cronaca, nella sua breve storia, è sempre stato definito "a vocazione turistica". 

Ascensore incompleto
Un viale in pietra collega il paese alla spaggia, aprendosi in un piccolo "lungomare" da tempo trascurato - non lo dico io - ma l'erba che cresce indisturbata in quelle che dovrebbero essere aiuole. Al momento in realtà il luogo si presenta più come un cantiere.Tuttavia ai miei occhi si è mostrato più che altro un triste quadro il cui titolo potrebbe essere "Abbandono", la cui cornice è offerta dal solo rumore delle onde del mare. Lungi da me ogni volontà polemica, quello che vado descrivendo non è altro che lo stato delle cose: un nastro bianco e rosso delimita una zona in cui è evidentemente negato l'accesso (l'ho dedotto in quanto persona prudente, ma nessuna segnaletica esplicita lo indicava). Al suo interno vi è una costruzione in cemento atta ad ascensore, tant'è che dai lati ho potuto osservare la porta di mezzo nuova, in quanto ancora racchiusa nello scotch protettivo. Incuriosita ho proseguito l'escursione, scendendo le scale che mi hanno portato direttamente alla spiaggia. 

Una piattaforma incompleta in legno (futuro solarium) occupa l'intera area di accesso al mare. Ho immaginato l'opera finita, con qualche sdraio posta sul piatto in legno e qualche coppia di tedeschi ad imbrunire la propria pelle delicata. Ma la mia attenzione è stata catturata da altri sensi percettori: un odore poco gradevole infatti, non mi ha lasciata per tutta la passeggiata. Sono rimasta diversi secondi a guardarmi intorno, domandandomi perchè mai un bagnante vorrebbe venirsene proprio qui a passare le sue ore di relax. Mi son risposta che certamente non sarei stata fra loro, del resto immergersi rimane difficoltoso e con tutta quella vegetazione alle spalle persino il sole rischia di rendere monca l'idea stessa di solarium, consentendone solo l' "-arium", che con uno sforzo neanche troppo complicato mi riporta a un noto aggettivo siciliano da tradursi in "brutto", ovvero "lario". 
Pseudo - Solarium

Procedendo nei miei passi verso un piccolo sentiero battuto, ho notato tanta, ma tanta, sporcizia. Oggetti insoliti, impropri, rotti, vecchi, scoloriti e maltrattati sbucano tra i sassi senza logica alcuna: ciabatte, ruote di plastica di un qualche triciclo, bottiglie, tappi, piccoli pezzi in ferro, canne. Mi sono chiesta se fosse il mare con i suoi moti regolari a restituire sistematicamente alla terra ciò che in esso si perde e disperde, immaginando solo per un attimo le centinaia di storie di frigne e maledizioni che si nascondono dietro ciascuno di quei pezzi. Adesso non costituiscono altro che una discarica a cielo aperto, in un luogo che, consentitemi, di turistico non ha nemmeno il sentore, figuriamoci la vocazione. Il battito d'ali di alcuni colombi mi ha fatto sussultare e all'improvviso quella montagna di terra mi è apparsa così vicina e così pressante, lasciandomi in una lingua di terra e pietre che non si libera nel mare, no, perchè esso rimane irraggiungibile. 

Misteriose presenze
Sono tornata indietro in fretta, rimpiangendo il divano. Sentiero, piattaforma, scale, lungomare. Acqua fresca in gola. Non me ne ero accorta all'andata, ma sulla pavimentazione bianca ho osservato tante piccole candele bianche, di queste che si comprano a stock di 20 pezzi. Erano piazzate a terra con una certa volontà, direi quasi una predisposizione predefinita. Non ho mai amato il genere giallo, tuttavia il primo pensiero si è spostato su qualcosa che lì è effettivamente accaduto, a cui ho associato l'aggettivo "rituale", ma immediatamente tornando alla realtà, ho considerato molto più probabile una giovanile dichiarazione d'amore romantico-melenso. A dirla tutta, quello è stato il momento più interessante dell'intera esperienza sudoripara. 

L'Ecomostro
Ho risalito il viale nella direzione speculare a quella dell'andata, sbucando nella ribattezzata dal popolo "piazzetta amianto", per via dell' ecomostro che si trova abbandonato lì da anni. Sì, lo è ancora. Si era detto sarebbe caduto giù pezzo dopo pezzo, ma nessuno ci aveva assicurato su quando ciò sarebbe accaduto; così mi permetto ora di azzardare un'ipotesi che, se non altro, farà sorridere alcuni: forse che i pezzi cadranno uno alla volta ogni cinque anni intorno al mese di maggio? Sarà che il sole tramonta sempre dietro quella merda in cemento e più lo guardi più ti sembra nero e triste, ma anche qui lo stato delle cose lascia molto a desiderare. 
Ecomostruosissimo

Stra convinta di aver concluso il mio piccolo reportage, ho sottovalutato l'elemento sorpresa. A sera, di rientro a casa, mia madre era ancora sveglia, e mi ha allertata circa la presenza di un topo proprio davanti casa. E in effetti era lì, frastornato dai colpi di scopa che mio zio aveva inutilmente provato a cacciargli contro. Era vivo e vegeto e chissà con quali intenzioni. Da lontano un gruppo di ragazzini sopraggiungeva; in questa stagione vanno in giro con l'immancabile "Super Santos" anche dopo cena. E se hai 12 anni, un pallone e incontri un topo per strada che fai? Inconsapevolmente interpretando i desideri di ciascuno di noi , eccoli impegnarsi in un "muro di Pelè" che bene si addiceva ad avere come sottofondo musicale "La fiera dell'Est". Il ratto scappava via e loro lo inseguivano. Nel frattempo giungeva dalla strada la signora M. R. di rientro a casa, e il vicinato era già accorso alle finestre e ai balconi sentendo gli schiamazzi, Così il roditore infausto, centimetro dopo centimetro in cerca di fuga è finito sui piedi della donna ignara. Chi ha detto che gli anziani non sono agili? Una danza imperfetta accompagnata da urla e i cori dei piccoli intorno a saltarellare come a una sagra è stata la scena epocale a cui ho assistito sgomenta e divertita allo stesso tempo. Quello, il topo, inconsapevole del proprio protagonismo, è giunto infine a un rifugio sicuro, buio e celato, sopravvivendo ancora, in attesa del prossimo felino ad incrociare i suoi passi.

Il topolino che per due soldì questo paese comprò
Lo stato delle cose insomma, fa schifo. Fuori ci sono le opere incompiute, la tristezza, l'abbandono, la puzza, l'inquinamento, i ratti e le blatte. 
Eppure noi ci gloriamo di avere la vocazione turistica, il progresso, le buone idee; e intanto ci riempiamo lo bocca di speranza, futuro certo, e tempi migliori....sta ceppa!

Io me ne torno al mio divano. 

venerdì 10 luglio 2015

Sole silente sè sola

Quella sera andava di corsa. Aveva fatto una doccia veloce, senza quei movimenti lenti e quell'appropinquarsi con il viso allo specchio che la intratteneva in genere per diversi minuti. C'erano delle gocce d'acqua per terra che lasciò assorbisse lo scendi bagno. Pensava, chissà come mai, quando aveva premura riusciva comunque a fare tutto e farlo bene, senza scordare nulla, ma abbandonò quel pensiero nella scatola delle cose che hanno un posto tutto loro in testa, il posto delle cose senza risposta. Il caldo estenuante aveva già vanificato la freschezza dell'acqua e l'effetto ammorbidente del bagnoschiuma sulla pelle, ma un po' per vizio, un po' per vanità, avvicinò il naso alla spalla e approfittò del profumo sulla pelle di cui andava fiera. Salì i pochi gradini che la conducevano al suo solito posto e si sedette davanti al pc per togliersi quel pensiero dalla mente e poter uscire. Si sbrigò in fretta, assicurandosi che l'ortografia non pagasse il prezzo della sua premura. Il pezzo andava fatto subito per essere pubblicato il giorno dopo, al mattino presto; sapeva esattamente cosa dire e come dirlo, sapeva quale servizio offrire alla gente quella volta ed era sollevata perchè non avrebbe destato alcuno scalpore. La soddisfazione non sarebbe stata la stessa, e non ci sarebbe stata nemmeno quell'adrenalina che si genera quando osiamo andare oltre il cortile del legalismo e delle formalità. Ma le faceva così bene scrivere, era ciò di cui aveva bisogno quella sera: un quadro generato dall'esigenza d un impegno preso e completato nell'arco di tempo che era sufficiente; una cosa semplice, ordinata e completa. Le gambe non smettevano di muoversi, aveva infatti il vizio di scaricare la tensione il più lontano possibile da sè e le gambe sembravano il mezzo migliore per farlo, mentre le mani erano impegnate a scrollarsi di dosso tutto quello che la sua testa produceva e che il corpo somatizzava e poi cacciava battendolo sulla tastiera. Una macchina perfetta, fin quando guida le sue tratte nella certezza del conosciuto. Pianificazione, immagine in evidenza, tag, un titolo didascalico più o meno accattivante e via. Erano già le 23, così scelse la solita catena al collo e una maglia che si trovava disordinata sulla sedia accanto al letto, si riattaccò i capelli alla meno peggio, riflettendo di sfuggita sul momento in cui si sarebbe decisa a tagliarli; era "pronta" e uscì di casa. Per ottimizzare il tempo, approfittò della strada per fare alcune telefonate importanti. Fu sufficiente per innescare nuovamente la confusione che prima aveva abilmente sgomberato con la sensazione di aver fatto già tutto quello che aveva da fare; come  quando si becca la carta "Ritorna al via!" al Monopoli. Respirò a fondo sedendosi sulla panchina che nel frattempo aveva raggiunto e vide quel luogo famigliare accogliere il suo sospiro; in fondo, quella era la sua casa, ovvero il posto accanto al quale poter eguagliare il suo nome. Ironico che a farne da cornice ci sia proprio una vecchia fortezza post-medioevale. Le sue certezze rassicuranti racchiuse dalle mura alte che difendevano dai nemici, così additati solo perchè sconosciuti. Un accenno di sorriso sarcastico le si formò sulle labbra, mentre lo sguardo si faceva ampio e angoscioso, se solo qualcuno fosse stato lì ad attraversarlo. Ma così fu più semplice mettere a tacere le emozioni che reclamano le loro note per fuoriuscire melodicamente un giorno. Ma non adesso. Le sagome delle amiche si erano formate davanti ai suoi occhi e si pentì di non essersi soffermata davanti allo specchio quella sera. Immaginò i suoi capelli mossi e raccolti alla meno peggio,
aumentare in minuscoli fili biondi nella testa che da lontano sarebbe sicuramente sembrata l'alone di luce di una lampada da terra, ma sapeva di non poter fare nulla per impedirlo; era così umida e calda la serata. Poche chiacchiere sopra un limoncello sottomarca, le beffe del venticello che richiedono la sciarpa sulle spalle nonostante l'appiccicaticcio della pelle, e il tempo che scorre veloce. Si arrese felicemente alla notte, trovando negli occhi della sua migliore amica l'accordo silente che sanciva la fine di quel summit utile a distrarsi. Sotto i sandali poteva sentire la polvere che si era insinuata, ma faceva parte del rituale lavare i piedi prima di coricarsi, così fu felice in modo forse un pò fanatico. Il giorno era volto al termine e ciò le permise di stringere un patto con sè stessa: la lotta si spense, il qui e ora esigeva riposo. Rilassò le membra concentrandosi solo sui muscoli del proprio corpo, iniziò dalla fronte e la mandibola, poi collo, spalle e braccia fino alle dita delle mani. Il petto, il ventre, il bacino. Il sotto coscia, le gambe, i talloni. Si rese conto che il sonno stava sopraggiungendo e capì che poteva concedersi di mettersi sul fianco, la mano sotto il cuscino. Poi, per completare quell'ordinario dipinto, disegnò il dettaglio che lo avrebbe reso perfetto, e lentamente si concesse la sensazione sulla pelle di essere avvolta da un tenero, immaginario, forse vero nella sua irrazionalità, abbraccio di un altro. 

mercoledì 17 giugno 2015

La mia preghiera nel tempio di questo tempo

 Dovrei ricercare tra le pagine del mio "Manuale del guerriero della luce" l'aneddoto giusto per questo momento. Quasi certamente mi verrebbe detto che il guerriero della luce si siede e aspetta, non si lascia trascinare dagli eventi, nè dalla rabbia. Non ce la fa proprio a rimanere fermo però. Così, poichè sa che adirarsi sarebbe inutile, si dirige verso il suo tempio per recitare le sue preghiere.

Ed eccomi qui, a cacciare dalla mente i pensieri e dagli occhi le lacrime. Ho premuto play sulla lista "Imagine Dragons- Live", sono versioni delle loro canzoni più soft, leggere, quei pezzi che ti permettono di apprezzare le parole, i testi oltre la musica. E' una terapia dolce: i sensi si raccolgono in un unico piacere; le dita battono, sfiori la tastiera, senti il suono in lontananza, camuffato dalle tracce che nel frattempo ascolti con le cuffie per cui hai speso 15 euro, per essere buone. La bocca al sapore di caffè appena preso, mentre il calore a volte si fa percepire lungo le braccia fin sopra la testa. Gli occhi, gli stessi che bruciavano fino a questa notte, adesso vedono costruirsi piano una macchia di nero multiforme, ma omogenea nel suo complesso. Una parola dietro l'altra alla fine è solo questo momento. Un momento di rabbia, un momento in cui si formulano immagini e discorsi nell'ideale attimo in cui la vita sarebbe un film, ma è solo vita, e certi climax non avverranno mai. Non lo sai mai che storia c'è dietro ognuno, non puoi, come fai? Come lo scopri quello che il suo stomaco sente, come si aggroviglia, come brucia, come si sbatte?

E' tremendamente facile in questi attimi vedere solo nero, vedere le cose complicarsi, incresparsi di disagio, riempirsi di difficoltà, e rimanere per giorni, settimane, immobili, senza abbandonare questo stramaledettissimo limbo in cui la tua vita ricasca costantemente. Dopo tutti quegli sforzi...dopo l'appannaggio della speranza, dopo, solo dopo, averci creduto.

Come ti salvi?

L'equilibrio è tutto. Così per ogni canzone che ti atterrerà, un'altra ti farà sentire #onthetopoftheworld, per ogni lacrima che chiederà il permesso per uscire, la caccerai via senza possibilità di tornare a fare male, e per ogni sconfitta ci sarà gloria, per ogni beffa onore, per ogni tradimento giustizia.

L'ultimo anno al liceo fu caratterizzato dall'immancabile protesta per l'ennesima inutile riforma alla scuola. Inutile la riforma, inutile la protesta, è chiaro. Ma lo capii solo molto tempo dopo. Perchè se dai la possibilità a un 18enne di protestare, ci metterà l'anima dentro quella ribellione. E così feci anche io, finchè non mi ritrovai nel mezzo di un corteo a Palermo e mi cagai di sopra quando, poco distante da me iniziarono a scoppiare i primi colpi di fumogeni e piccoli razzi da stadio. Mi misi a correre senza sapere minimamente dove andare, terrorizzata e profondamente pentita.
A distanza di qualche anno è cambiato il contesto ma non il senso delle mie rivolte ad extra. Se ti colpiscono, se ti calunniano, se ti mortificano, se la miccia del tuo fuoco viene dall'esterno, la tua sarà una vana ribellione. Sarai come la rissa per strada rispetto a un match sul ring; sarai come una denuncia penale rispetto a un dialogo costruttivo e se volessimo, risolutore.

L'equilibrio è tutto. Devi essere più forte degli attimi di ira, più forte di una scarica di adrenalina, più forte del combattimento che vorrebbero farti intraprendere. Cercano i kamikaze, cercano gli agnelli da immolare...ma tu "porgi l'altra guancia"! Non è farsi calpestare ancora, ma porre l'avversario al tuo livello, costringerlo al combattimento leale, con armi pari. Come il servo venendo schiaffeggiato dal padrone sulla guancia destra, si voltava per porgergli la sinistra, lo costringeva, se avesse voluto colpirlo ancora, a utilizzare il palmo e non più l'esterno della mano. Il palmo della mano era qualcosa di più intimo, delicato e prezioso per il padrone che allora, si troverà a usare verso il servo.

E si sopravvive, sempre.  

domenica 7 giugno 2015

Ascoltare voce del verbo Amare

Quando arriva la sera generalmente mi pongo una domanda: "sono stata produttiva oggi?"
Mi serve per fare sempre il punto della situazione, verificarmi e compiacermi.
Per potermi ritenere soddisfatta oggi credo sia doveroso il passaggio da questo blog, per non lasciare alla precarietà delle parole quella che considero una grande ricchezza.

Questa è stata la prima giornata di vero caldo nella stagione, preludio forse di un periodo di fatica e sudore; ma era pur sempre domenica e non poteva mancare una sosta al bar con gli amici...

Con molta naturalezza si è avvicinato a noi un uomo, un signore del paese che conosciamo e rispettiamo, che tutti rispettano, simpatico e di compagnia. Si è seduto tra noi e ha ordinato da bere per tutti...
Non ci è voluto molto per capire che aveva voglia di stare in mezzo a noi e di essere ascoltato, come tutti gli anziani: un incredibile bagaglio di memorie, alcune delle quali spero di imprimere in questo post.

Quando ho completato le scuole elementari in Sardegna - ha cominciato - volevo continuare con le medie, ma avrei dovuto spostarmi dalla provincia a Cagliari; così mio padre mi disse di lasciare perdere perchè avevamo un grande bestiame e potevo occuparmi di quello. Ma a me "annoiava" badare al bestiame e "vosi" continuare. Così andai a Roma e presi la terza media; e poi chi putia fari? C'era u marito di mia sorella a "Ggermania" e mi disse: "Veni qua che ti faccio lavorare io"; e andai a Germania a lavorare in fabbrica. Si guadagnava eh...lì trovai una ragazza ma non era mia moglie ah! Un giorno arrivò mia moglie: ou...appena la vosi vedere con i capelli che arrivavano sotto il sedere, lo capii subito eh...Allora ci dissi all'altra ragazza:"noi rimaniamo amici" e vosi andare con mia moglie. Lei c'aveva i suoi fratelli là e non la potevo toccare, neanche così ah...solo da lontano; allora era il 15 dicembre del '62 e dovevamo tornare a casa per Natale; allora abbiamo deciso di scendere insieme ma i suoi fratelli mi dissero: "Tu non vieni a Pollina però". E niente...quando siamo arrivati a Roma ci promisi a mia moglie che lei andava a casa sua a fare le carte e io andavo a casa mia a fare le carte per il matrimonio. Quando sono arrivato a casa i miei parenti mi hanno preparato tutto, vosi portare il formaggio e la carne quella buona, pronta, perfetta. E così partii - ascolta Sofia, intercalava - e arrivai a Palermo; io un canusciva niente, non mi sapevo muovere e allora presi il taxi. Avia l'indirizzo e c'hu fici avvidiri a chiddu. "Ma io un sacciu unn'è Pollina" mi disse quello; io ci dissi "Puoi parlare in italiano per favore?", non lo avevo capito chi diciva, non conoscevo ancora il siciliano. "Non so dove è Pollina, ma comunque partiamo". Appena siamo arrivati u Finali e vidimu Pollina in capu dda muntagna ci vinni a confusioni: "dda supra amu a cchianari?". "Camina" ci dissi; io ero tranquillo, mia madre mi avia cucito i soldi d'intra la camicia e stavo sereno - capito Giusy? - e siamo arrivati a Pollina alla Maddalena e iddu si firmau; ma io ci dissi "Acchiana ancora fino a unni pò iri a machina". Allora si fermò nella curva più sopra e io scinnivu cu tutti i valigi e i cosi i manciari. Ci dissi "Quant'è?" - "Diecimila lire"- allora ce nne detti dodicimila e ci dissi di andare a mangiare. E quello "Grazie grazie", baci, abbracci, era contentissimo. -Ride- Allora c'erano due e ci vosi dumannari perchè dovevo trovare a me mugghieri, ci fici vedere la fotografia e uno mi dissi "Ma è me cuscina!" e mi ci purtò. Lei non era sola, c'era sua madre, le sue sorelle ma mi sono trovato subito bene ah...poi ci siamo sposati ah e siamo tornati subito a Germania per il viaggio di nozze. Ou...sono passati 52 anni e la voglio bene come il primo giorno...
Ou...io sono maestro di autodifesa ah, e questo è importante perchè ho l'autocontrollo...ed è importante perchè ti fa resistere alle tentazioni, hai la disciplina...

Si era fatto tardi; sentivo la stanchezza ma anche la gratitudine per quel tempo speso ad ascoltare. Sono tornata a casa perchè la processione per la festa del Corpus Domini era già partita da un pezzo. Avevo bisogno di silenzio e di togliermi di dosso l'appicicaticcio causato dalla forte umidità. Poi sono scesa per strada, aspettando che il Sacramento passasse: dovevo suggellare quello stato d'animo, rendere grazie.

Al passaggio del Santissimo mi sono soffermata a guardare e quello che cercavo mi fu chiaro: il signor Angelo aveva conosciuto l'amore incontrandolo, da allora non ha più smesso.
La mia processione era stata compiuta, solo per altre vie.

Pregare è adorare, adorare è amare in silenzio.

"Ora lascia, o Signore, che io vada in pace
perchè ho visto le tue meraviglie..."

lunedì 18 maggio 2015

Apnea


Questo è quello che Coelho definirebbe "il ritiro nel luogo sacro" del suo Guerriero della luce.

Mezzanotte e tre minuti.
Maggio a metà.
Domani una prova mi attende.

Devo infondermi coraggio, così ho pensato di ritardare l'ora in cui andare a dormire e innescare dentro di me quel meccanismo che mi rende più forte, più carica, più...me stessa.

Siamo il peggior nemico che possa capitare a noi stessi e me ne rendo conto sempre più davanti alle occasioni della vita. Proclamiamo il coraggio ma la viltà è sempre dietro l'angolo.

Un dialogo interiore ricorrente e incessante non mi abbandona, ascoltarlo è l'esercizio più difficile.

A: "Andrà male"
B: "Hai tutte le carte in regola per farlo andare bene"
A: "Non c'entri niente là..."
B: "Ma è solo un intervento..."
A: "E se succede qualcosa?"
B: "Non accadrà nulla...prima che possa accorgertene sarà tutto finito"

Incessante scambio di vedute.
Due volte me. Due me. Me e l'altra me. Continuamente, ancora.

Mezzanotte e nove minuti.
Sto già meglio.

Finirà mai questo dolore?
Paralizzante stato di vita.

Mare dentro: un uomo su uno scoglio guarda l'acqua. Vuole tuffarsi, non lo fa. E' quell'attimo. Và quando una voce grossa mette a tacere le altre e via, dentro il mare. Freddo, vita.
Non era così difficile.

Tu, il mio dialogo. Il mio mare. Il mio stato di apnea.
Finirà, finirai.
Sopravviveremo.



domenica 19 aprile 2015

Storia di un cervello e della vita che le insegnò a usarlo

 Ci sono alcuni periodi della vita in cui il viaggio diventa esclusivamente avventura. Momenti, giornate, serate, intense discussioni che ti seccano la gola possono essere a pieno titolo definite "avventura". Ho scoperto che l'adrenalina si scatena non solo in situazioni estreme, nuove, paradossali o pericolose. C'è chi la scatena facendo bungee jumping, chi cantando ai concerti, chi ballando in discoteca, chi in milioni di attività che per ciascuno rappresentano la propria passione.
Ecco, ho scoperto che l'adrenalina viene fuori quando stai dentro le cose, le vivi, le respiri, le desideri e sei pienamente e totalmente coinvolto da esse. La cosa che più preferisco di quando ho adrenalina è ciò che manifesto con il mio volto: disinvolto, autentico, ricco. E sono certa che è chiaro e lucente come il sole agli occhi di tutti. Chi mi conosce lo sa; e non se ne preoccupa. Non ci sarebbe questa carica infatti, se non significasse anche una serenità di fondo, che è frutto di una scelta fatta sempre nella libertà. 

Mi sento libera quando posso esprimere  il mio pensiero, mi sento libera quando qualcuno mi chiama per confrontarsi con me, mi sento libera quando posso contribuire a rendere bello un progetto; libera nella mia passione, nella mia arte, nella mia unicità, nei miei quasi 23 anni, libera. E' un periodo difficile per chi ha 23 anni, vi assicuro. Non puoi vivere spensierato, ma non puoi non vivere. Devi andare costantemente alla ricerca di equilibrio, devi interrogarti, devi ponderare ogni scelta e minimizzare il rischio, ma devi rischiare soprattutto. Devi prenderti la responsabilità di uno sbaglio, ma ambire alla vittoria sempre, devi difendere i tuoi sogni ma costruire ogni giorno un pezzetto di quel futuro che magari tieni in serbo nel tuo cuore. E agli occhi di alcuni forse tutto questo non sarà limpido allo stesso modo della tua carica, non sarà canonico, non sarà come camminare su una strada solcata da molti e quindi sicura, conosciuta. 

La libertà a volte ti porta su sentieri inesplorati e di certo senza traffico e code ai caselli. Ma paghi tanti pedaggi, forse più di quanti dovresti. Ho scoperto che troppe bocche professano la stessa frase, fino a svilirla: "voi giovani siete il futuro": beh, con dispiacere devo ammettere non tutti ci credono veramente quando lo dicono. O forse non ne hanno afferrato il senso più vero e profondo. C'è poca coerenza tra questa convinzione e il modo in cui molti dimostrano di credere in quelle parole. 

Non si può dire a un ragazzo di osare, e poi fargli mancare il tuo appoggio; non puoi dire a un giovane di crescere, e non offrirti come modello. Essere giovani è una responsabilità più di chi giovane non lo è più che di lo è effettivamente. Io mi aspetto coraggio da chi mi insegna la vita, mi aspetto prudenza ma un pizzico di follia da chi ha già sfondato la porta dell'età adulta. Mi aspetto una pacca sulla spalla solo dopo che ti sei incazzato con me perchè ho sbagliato. Mi aspetto accoglienza, non giudizio. Apertura, non resistenza. Se mi viene chiesto di non avere paura, non puoi dirmelo col terrore per l'idea di cambiamento negli occhi. Se mi mandi per la via, non puoi rimanere nel tuo cantuccio comodo. Se mi sporco le mani, non puoi lasciarmi solo nel fango. Se oso la mia posizione, non rincorrermi per farmi tornare a tacere. 

I miei quasi 23 anni hanno esatto da me coraggio, ma mai incoscienza; forza, ma mai oppressione. I miei 23 anni sono oggi più una tua responsabilità. Ma "io comunque la mia parte ve la voglio garantire". La mia garanzia è il mio cervello, che non va dimostrato, non va sfruttato all'occorrenza, non va dimenticato soprattutto. 
Sono offesa con chi ha pensato il contrario, sono mortificata. 

Ma non avete idea di quanto sono carica. 



martedì 10 marzo 2015

Lo giuro, vivo.

"Hope if everybody runs         
 You choose to stay..."       [One Republic, I lived]

"Spero che se tutti corrono
 Tu decida di fermarti..."

Ripetevo tra me e me questa frase, canticchiandola mentre con la mano sinistra alzavo un mazzo di carte siciliane e nervosamente le lasciavo andare una per una, solleticandomi le dita. Un gesto come tanti che si fanno inconsciamente mentre la testa viaggia e va altrove. Così ho deciso di fermarmi davvero.

Mi trovavo su un terrazzo questo pomeriggio. La vista mi offriva un curioso panorama: c'erano le case innanzitutto, spazi indefiniti, una macchia verde da cui saltava fuori una grande recinzione alta, non era che un campo da calcetto. A sinistra il promontorio che si getta a strapiombo sulla costa, sopra, il tramonto. Per constatare il movimento in quello scatto fermo, bisognava necessariamente ricorrere all'immaginazione.

Il mio posto è così: appare immobile, ma sta solo proteggendo la vita. Pensate alla pancia di una donna gravida, una grande palla rigida, stirata, forte, e pensate dentro nel frattempo, un battito, il sangue in circolo, gambe che scalciano. Un feto è un grande segreto che si tramuta in promessa e si realizza in bellezza assoluta. Una storia a lieto fine come ne servirebbero tante. Come servirebbe a questo posto, il mio posto. Le case sono ferme, appaiono immobili. Santo Cielo, persino questo mondo appare fermo, "eppur si muove!". Il movimento insomma sta nelle cose, nel loro cuore, "inside". Gli ortaggi maturano nel loro guscio, i sensi elaborano dentro di noi ogni percezione, un meraviglioso verso di Foscolo recita: "dorme lo spirto guerrier ch'entro mi rugge".

Insomma, se non fossimo mossi, non saremmo. Lungi da me la volontà di fare filosofia, in questo periodo apprezzo e mi sforzo piuttosto di adoperare con praticità. Per questa ragione ho agito. Per questa ragione sto scrivendo.

Procedendo in un ragionamento unicamente teorico, possiamo affermare che nel potenziale dell'uomo ci sono grandi mete come la santità, l'eroismo, la gloria terrena, la memoria storica. Queste non sono promesse vendute da bravi mercanti, non sono le risposte evasive di politici in cerca di consenso. Sono verità dimenticate. Così se un individuo sa di poter puntare solo fino a 80, probabilmente raggiungerà 60. Difficilmente si pone come obiettivo 100 e, pare evidente in caso contrario, ottenere 80 sarebbe più semplice e oggettivamente più soddisfacente.

Dunque sento di concludere che l'uomo non ha coscienza del proprio essere.

Vi chiederete, cosa accidenti c'entra la coscienza dell'uomo con il mio posto visto da quel terrazzo questo pomeriggio?

Ci vuole una coscienza innanzitutto per guardare con occhi sognanti il mio posto da quel terrazzo e credere di poter dare una via di fuga a tutto quel movimento che è ancora immobilizzato in esso.
Ci vuole coscienza per camminare su un suolo e riconoscerne i bisogni e prendersene cura come una donna gravida si comporta con il proprio bambino, mentre egli cresce, indisturbato, libero ma protetto.
Ci vuole coscienza per sentirsi orgogliosi e chissà quanto felici di abbracciare quella creatura che ha preso vita nella vita che hai saputo offrire.

Il mio posto è una donna gravida, in essa vive la bellezza. La bellezza ha il diritto di essere curata.

Per questo mi sono messa in moto, perchè allo stato delle cose la bellezza sta morendo. Figlia di una madre egoista.



mercoledì 11 febbraio 2015

Ad armi pari (ti rispondo in poesia)


Artwork by Svetlana Valueva
Non so molto di poesia, almeno della tecnica poetica. E non pretendo di farne. Stavolta però è doveroso, un doveroso compromesso tra le mie emozioni e la mia razionalità. 

Ad armi pari è la breve di un messaggero che forse morirà tornando in patria. E' l' epilogo delle trattative di armistizio o la fine di una tregua non risolutiva. E' una dichiarazione, è, ancora una volta, sacrosanta verità. 
Nel rammarico ho trovato bellezza, ma non per questo mi ritengo un'artista. 
Mi girano a tremila a dirla tutta. Anyway...

Ti rispondo con un verso
Mi hai colpito come un botto
Lascio andare le difese, le paure e l'irrisolto
Se c'è posto nel tuo universo.

Ti rimprovero per un pò 
ma a dirla tutta cosa è giusto non lo so

Posso andare via e sognare un'altra nostalgia
Ti libero dall'inganno
Non ci sarà affanno
Se lo vuoi, metti fine alla magia.

E' una lezione che non impari
ma da oggi ti conosco:
all' ombra stai fresco
ma nell'emozione siamo veterani

Questo è un gioco ad armi pari. 

domenica 25 gennaio 2015

Le mie domeniche bestiali

Le mie domeniche bestiali mi piace viverle al contrario, cioè ripensandole.

Sono insolite perchè prima di tutto, iniziano con una sveglia puntata a differenza di tutte le altre. Ma poi capita sempre che prima che parta il suono, mi ritrovo a controllare l'orario e chiedermi perchè sono già sveglia. Ci sono dei vestiti lì ad attendere già dalla sera prima di essere indossati, più o meno sempre gli stessi, o meglio, sono i colori che non cambiano. Rosso vivo per tenere sempre a mente che non si indossa solo un tessuto, si indossa lo spirito giusto. E' ovvio che preparandomi, qualcosa la scorderò a casa. E' altrettanto indiscutibile che una volta a bordo dell'auto che mi porterà alla meta, i conti non tornino: qualcosa manca, qualcosa non la so proprio, qualcosa potrebbe stupirmi. Sempre presente è invece quel bruciore di stomaco e ogni colazione tristemente lasciata, non consumata.

Il viaggio è tempo di trepidazione ma anche di tensione, così cerco di non muovermi più di tanto altrimenti inizio a pensare che non mi sento bene. E' un viaggio sempre condiviso, e questo è bello; significa che  nelle mie domeniche bestiali non sono mai sola. Forse è qui che accade, non ne sono certa. Ho aperto lo sportello della macchina per scendere, oggi come sempre, ed è stato come impostare il cambio automatico per guidare, come rileggere ancora una volta lo stesso libro ma scoprirne sempre nuove sfaccettature. Sta di fatto che non mi sono più fermata.

Non so se faccio bene o se faccio male, se me la cavo oppure sono un disastro, se avrei fatto meglio a rimanere a casa o se posso fare la differenza. So che in campo sono scesa per intero, con le mie responsabilità ma anche con la mia persona, so che non ci sarà finzione, perchè non ci sarà tempo di pensare, verrà fuori e basta. Io le vivo così le mie domeniche bestiali, a 100 all'ora, e non mi fermo se non è il mio corpo a farlo, non mi fermo se non finisce la festa.

Il resto si consuma in sguardi: lunghi, complici, improvvisi, cercati...sguardi che valgono più di intere conversazioni, che conservano intatta l'essenza dell'amicizia, che profumano di gioia, che restano a sera nel sorriso inebetito di me viva.
Menzione d'onore a certi abbracci, figli dell'estroversione, maturati nel tempo dell'attesa, esplosi nella grazia di un momento.

Le domeniche bestiali si vivono due volte, per questo sono anche speciali. Finita la festa, inizia un'altra storia, più bella per certi versi: si dice "elaborare" in genere, io non la farei così tecnica. E' il mio mondo tanto quanto quello appena vissuto, dove mi sento ancora come un libro conosciuto ma sempre nuovo per ogni occhio passante dalle sue parole. E mi fa sentire innocente, forse anche fragile. C'è una grande verità racchiusa in quei momenti, ne sono certa, e mi concede il privilegio di schiudersi per rivelarsi. Non è solo cumulo di emozioni, non è solo gioia: sembra più vera pace...

Così amo trattenermi più che posso con essa, lasciandomi addosso quei colori, ripensando a quegli sguardi, rivivendo la mia domenica bestiale.

giovedì 15 gennaio 2015

Cortili di speranza


Il sole d'inverno dalle mie parti non è una rarità, è un'occasione.

C'è un luogo in cui il sole diventa una meravigliosa cornice dorata nei mattini limpidi di gennaio. L'abbigliamento della gente che da lì passa o che sosta corazza i corpi ma non li scioglie. L'aria è fresca ma la temperatura percepita è certamente più bassa delle media stagionale. 10 gradi di brivido in cerca di piume e sciarpe e stivali bassi di pelle, a stretto contatto con la terra sotto i piedi.

Il sole è un'occasione perchè tutto intorno a quel cortile  puoi vedere delle colline alte che presto lo copriranno e rimarrà solo il freddo umido che proviene dal vicino mare. E' ancora più speciale perchè alcune sovrastrutture fanno ombra sul grande marciapiede...così quel sole ti invita a cogliere i momenti di piacevole calore.

Ho atteso che si liberasse una panchina proprio in direzione dei suoi raggi. Una volta seduta ho potuto constatare che fosse meno comoda di quanto pensassi, o di quanto chiunque possa pensare guardandola in piedi, stanco. Tuttavia quel punto mi ha consentito di godere del tempo di attesa che in esso si consuma quotidianamente...

Nell'atmosfera si percepisce un rispettoso movimento. C'è caos ma non fa caos: voglio dire, ci sono le macchine in doppia fila, ma la gente pazienta e aspetta che qualcuno torni a spostarle se dovessero uscire; l'unica strada di transito, a una sola corsia, facilmente si ingorga, ma la gente pazienta, mentre il capo della fila compie le operazioni necessarie per far salire a bordo un anziano; c'è l'autobus che collega alla città, ma passa davvero poche volte al giorno, e la gente alla fermata attende senza scomporsi; c'è un grande uso di telefonini e molteplici conversazioni in atto, ma nessuno urla. 
I volti cambiano castantemente, ospiti dello stesso luogo: è una forma insolita di dinamismo che non rinuncia alla staticità. Un grande paradosso. 

In esso ho scoperto la gentilezza di un buongiorno rauco pronunciato da una vecchia signora che, rispettosamente, decide di condividere con me il posto, consapevole dei suoi diritti e profondamente riverente nei confronti del mio spazio, allo stesso tempo. Difatti non ha invaso nulla, mi ha ripagato con un sorriso di cortesia. 

Carrozzelle di pazienti. Già...neanche loro hanno perso l'occasione del sole d'inverno. Mi concentro sul loro sguardo e penso: quanta rabbia. Vado a fondo. Mi ravvedo: non è rabbia, è il segno della lotta. Loro, i pazienti, non sono affatto dinamici, piuttosto statici, ma non è per via della stanchezza, è solo tregua.  

Benedico la mia corazza, ma mi trovo indifesa altrove: nei pensieri. Non posso comprendere il loro dramma. Mi trovo forse nel cortile del dolore?

Una donna spinge il marito, le ruote della sedia girano indisturbate. Si ferma, si abbassa lentamente e sussurra all'orecchio dell'uomo: "ti va di scendere e fare due passi?" 
Poco lontano un ragazzo- avrà la mia età - mi colpisce il suo volto molto pallido e dagli occhi scavati, non riesco a cogliere il suo sguardo ma vengo subito distratta da chi gli sta intorno, familiari suppongo e trovo conferma nel coro di sorrisi che all'improvviso illumina i volti.

E' ormai chiaro: non si tratta di dolore, sono nel cortile della speranza.