domenica 28 maggio 2017

Ostaggio

Stasera sembrava inevitabile chiudere la giornata sulla tastiera. Ho talmente tanti pensieri in testa che stavano finendo per comprimersi tutti, lasciando solo un ammaccone. Sono stanca, probabilmente per via della lunga concentrazione che ho provato ad avere per diverse ore, mentre il mio corpo non chiedeva che una fuga veloce verso un cantuccio silenzioso. 

E invece sono rimasta: dai bambini, sotto il sole, tra le chiacchiere e davanti a un piatto caldo. Volevo esserci almeno tanto quanto volevo andare via. Così ho finito per fare entrambe le cose, chissà se qualcuno lo ha notato che dentro di me ballavano le scimmie come al circo, mentre camminavo a testa alta sotto l’ultimo tramonto. 

A proposito, l’ho visto tutto, quella linea di colore calda che da arancio diventa rossa e da rossa a violacea e infine blu, blu come la notte. C’era solo uno spicchio di luna e a terra una marea di oleandri e gelsomini. Un odore pazzesco. Il mare non si distingueva, ma è rassicurante saperlo al suo posto.

Già, al suo posto. Come i libri sulla scrivania pronti a un lunedì ingiustificato; come i vestiti ammucchiati sulla sedia che posso giurare “erano solo un cambio”; come il romanzo sul comodino che non voglio ancora aprire, perchè ogni obbligo mi sta stretto, e non c’è energizzante migliore della volontà. Arriverà il suo momento, o forse no, sarà la storia di un libro non letto e racconterà le vicende di una ragazza intelligente ma che a volte non si applica; buona, ma a volte indifendibile; capace, ma spesso fragile.


E può spaventare quel vuoto che si intravede come il fondo di una tazzina di caffè, dopo che ne hai bevuta la dose giornaliera e hai eseguito il rito di sempre: zuccherato, patinato, stretto. Come se l’anima avesse di nuovo fatto i conti col terrore che chiede un pezzo di quella come riscatto: ciò che non c’è diventa martellante, ciò che c’è opaco, ciò che respiro un caldo punto di tregua. Ancora un intermezzo, poi sarà ancora così, incerto, disordinato, molle. 
Mi sento come in ostaggio, un pezzo di valore, in attesa di uno scambio, di pagarmi a prezzo di dolore.

lunedì 22 maggio 2017

Siamo a Praga


Ci sono due modi per affrontare un viaggio: prepararsi, leggere, programmare, conoscere quello che si intende visitare, oppure partire, scevri di ogni pregiudizio e semplicemente curiosare, scegliere, scoprire passo dopo passo i luoghi, i cibi e le usanze.
Non c'è una regola assoluta e l'una direzione non esclude l'altra.

Praga però mi ha insegnato che tutti i luoghi comuni sui viaggi sono veri: apre la mente, comprovato; aiuta a scoprire i propri limiti e punti di forza, comprovato; sorprende, molto vero; allontana dalla propria quotidianità per tornare ad apprezzarla e, pur essendo una parentesi di vita, ha un perfetto valore reggente. Scuote.

Praga è una città sospesa, puntellata di realtà.
In ciò che ho visto, negli odori che ho annusato e nei sapori che mi sono concessa, c'è stato un filtro costante, la mia personalissima percezione. Sarebbe troppo facile dire che Praga è magica, ma posso raccontarvi di come essa sembri così immobile, così immutabile al tempo e salva dai debordi della modernità. Voglio dire, la tecnologia c'è, è incastonata in essa, ma i suoi sentieri sono rimasti medievali, e passeggiando si ha la sensazione che da un momento all'altro possa arrivare un cavallo al trotto che traina una carrozza e che da essa scenda un duca o un reale di Boemia.

A Praga ho trovato il sole e la quiete di un prato.
L'andirivieni sul ponte Kurlov o gli incroci possibili di una piazza, la beatitudine dei giardini che circondano ora chiese ora castelli e quintali di storia che racconta e racconta un pezzo d'Europa prima in auge, poi ferita, spesso dominata. 
Muri dentro muri, città dentro città, strade percorse, pulite e organizzate. Una lingua, il ceco, magari priva di una forte identità, magari distante eppure ritmica. 

Praga mi ha tolto una coperta di dosso. 

Come al solito avevo pensato al peggio, così ho messo in valigia una felpa in più e una canotta in meno. Eppure mi ha lasciata in mutande, rivelando però che quel nuovo costume mi stava a pennello e che posso fare a meno di tante cose, di tutte quelle barocche sovrastrutture, e innalzarmi su alte guglie, raggiunte da lineari scale a chioccia, ora a destra, ora a sinistra, ma sempre in alto. 


Praga mi ha riconsegnato sguardi puri e complicità di ferro.
Li avevo messi in cassaforte per non consumarli e senza un cambio stavano per finire svalutati. 
Eravamo a Praga, ma una parte di me lì c'è rimasta, perchè non si torna interi mai.
Si torna rinnovati. 


martedì 9 maggio 2017

Slow down

Non sono mai stata costante nella mia vita. 
Ci sono decine di romanzi lasciati a metà sugli scaffali, c'è una collana di quaderni chiamata "Scrivere" di cui ho comprato i primi7-8 numeri in abbonamento e poi ho mollato, forse perchè avevo preso con eccessiva fretta quella decisione e mi ero convinta che potevo trovare tante strade alternative per raggiungere non so bene cosa nella mia vita. 
Una vita fa: quando nel tentativo di rimettere ordine nella mia testa, finivo per complicare ancora di più tutto, assecondando la logica del "tutto e subito" pur di dimostrare agli altri che non mi discostavo tanto dall'immagine che potevano avere di me.
Poi mi sono sbarazzata dell'altrui giudizio e niente, sono rimasta incostante, fatta eccezione per alcune piccole cose. 
Come questo blog che ancora non ho fatto invecchiare,
Come la palestra: ottima annata fra squat e addominali.

Ma siamo in primavera inoltrata e il sole chiama a raccolta, il manto stradale appena rifatto è ideale per costeggiare uno splendido panorama, così mi sono detta "vado a correre". Ok, ok. Slow down.
Ci avrei provato almeno. Con quella tendenza a giustificarmi che ho, lo spazio del compromesso era dietro l'angolo. 

Non immaginavo che la scelta migliore si sarebbe rivelata un'altra. 
"Mamma sto uscendo, lascio il telefono a casa, vado verso la Valtur, in caso sapete dove cercarmi".
Andiamo, non avevo dove metterlo, ero senza tasche...
No, non è neanche questo il punto. Ho iniziato a camminare, ho aumentato il ritmo, "Vai Sofia!"-urla di incoraggiamento nella mia testa, corro. Corro guardandomi i piedi e mi chiedo se è quella la postura più giusta, se metto bene i piedi...ho dolore alla pancia, come se le budella stessero prendendosi a pugni lì dentro. Dannazione, slow down. 

Il dolore si localizza e si fa apparentemente più forte, così inizio a respirare come ci avevano insegnato alle elementari, inspirando e portando su le braccia, facendo un cerchio e poi buttarle giù ed espirare, tutto fuori. Tutto down. Ho percorso correndo circa 200 metri prima di pensare che stavo per finire stecchita sulla statale 113 e che se ne sarebbero accorti troppo tardi. Oh, ma dai, slow down.

Slow down. Alzo la testa e mi concentro sui rumori: lascio che passino alcune auto e mi infastidisco per un motore evidentemente "elaborato" il cui rombo fatica ad allontanarsi, ma poi resto sola col rumore della sabbia e di piccolissimi ciottoli sotto i piedi, quanto basta per mettere in fuga le lucertole. Sull'altro lato qualcosa tra i cespugli lascia qualche fruscio, mentre cinguettii sempre più insistenti si accordano sulla chioma di un albero. Continuo a camminare. Superata una grossa curva si apre un altro pezzo d'asfalto in pendenza, ho avuto la sensazione di non ricordare quel tratto, proiettata come ero a ciò che mi aspettava più in là. Diverse macchine che venivano nel senso opposto suonavano il clacson appena un attimo prima di incrociarmi, rallentare comporta anche l'incontrare.

Il mare era increspato e sporco, nonostante il sole tirava un'arietta fredda, ma a prescindere dalla primavera desideravo fermarmi. Solo per stare lì a guardare un po' un panorama visto e rivisto centinaia di volte. Mi sentivo quasi a disagio. Che stavo facendo? Assolutamente nulla. Erano attimi per me, potevo farne ciò che volevo pur non  avendo come condividere. Chissenefrega, sto bene. Guarda là quella roccia, chi si accorge del suo invecchiare? Abusata come sfondo digitale, dipinta, esposta, mentre affronta stagioni e intemperie, usura del tempo e innesti dell'uomo. Slow down. 
Non c'è niente che tu debba fare ed è bellissimo così. 
Nessun mondo da salvare, nessun amico da ascoltare, sopravviverà tutto e tutti per un'ora. Attenderanno. 
Slow down.
E' tempo di rientrare, con tutto il tempo che voglio.