martedì 23 dicembre 2014

Caro Gesù Bambino #3



Caro Gesù Bambino,

ti ho atteso nella semplicità dei miei giorni, riservandoti uno spazio nelle mie giornate perché potessi approfondire un po’ di più quel mistero che questa notte rappresenta. Questo è il mio 22esimo Natale, ma nessuna monotonia nelle sue sempre nuove sfaccettature. Mi sono sforzata quest’anno di riscoprire la gioia nella tua venuta, ed è stato proprio un mattino di qualche giorno fa ad offrirmi uno spunto interessante per rendere dignità a questo mio sentimento. Al mio risveglio con un semplice conto alla rovescia ho realizzato che avevo ancora davanti a me la prospettiva di giorni belli, ricchi di appuntamenti e incontri e piccoli momenti di magia, momenti tutti da vivere ancora. Così ho intuito che il modo giusto per attendere fosse godere appieno di ogni ora donata. Ho pensato alla tua venuta come il coronamento di un percorso, il traguardo di una corsa, la meta di una maratona. Sì, forse un po’ lo è, perché questa sarà la notte delle notti, quella in cui ogni emozione toccherà il suo apice, quella in cui potremo finalmente cantare “Gloria in excelsis deo!”. Non vedo l’ora che sia quell’ora in particolare, per scoppiare, e portare dietro con il botto ogni mia  singola parola rimasta taciuta, i gesti incompiuti, i sorrisi mancati, tutte le occasioni in cui non ho reso giustizia alla mia vita. Caro Gesù, devo proprio chiedertelo, accogli ogni mia mancanza perché possa fare posto solo alla gioia che viene da te e con te. 

Come dicevo, questo è il mio Natale numero 22, e mi sembra di avere appena cominciato! Questa è una buona cosa, perché esprime la mia voglia di prendere a morsi questo tempo in cui la mia vita è calata. Sì, Gesù, prendere a morsi, proprio come farei con un panino, per farlo mio innanzitutto e poi per  trarne costantemente occasioni. Non mi ha mai sfiorato il pensiero di abitare un mondo buio e brutto; ho sempre sostenuto invece quanto grande fosse quest’ opera dai caratteri naturali immensi, dalla molteplicità assoluta, decorata di grazia, ricca e bella. Un’opera però, che ha conosciuto la corruzione quasi in contemporanea con la sua creazione. Ma la corruzione è già prodotto di qualcos’altro, non fa parte delle sue caratteristiche naturali. Sai che c’è? Prenderò a morsi anche la corruzione, non per farla mia stavolta, ma per farla fuori soltanto. Non si può pretendere di cambiare le cose rimanendo fermi. Gesù, mi scuserai, ma appena avrò concluso la mia festa intima con te, correrò fuori e farò festa col mondo! 

Ho un invito sul mio comodino ultimamente: “ti aspettiamo”, così recita sinteticamente. Dovremmo rivoluzionare un po’ quest’abitudine dell’invito, così poco collante tra chi invita e chi viene invitato. Non si può comunicare la voglia di presenza senza la presenza stessa! Voglio dire, vediamo se sei d’accordo, vogliamo continuare a fare gli inviti? Bene! Che siano in grado di tirare fuori le braccia dal biglietto e accogliere in un abbraccio quanti desideriamo avere accanto! Che sia il nostro corpo a invitare: due mani che si stringono in segno di saluto ma solo per un secondo, perché poi quella stretta è già diventata patto. E gli occhi facciano la loro parte! Occhi aperti dentro una testa tenuta alta, spalancati sul volto dell’altro, come a dire “ti sento” e credo davvero in ciò che sto per dirti: non più “vieni”, ma “andiamo!” 

Ecco come voglio fare festa con il mondo: insieme, Piccolo Uomo! 

Temevo, caro Bambino, di non arrivare a comprendere quest’anno il significato della Tua venuta per me…poi mi è bastato pensarti, nudo tra le braccia di Maria, tua madre…quanto è durato quel freddo? Quanto prolungata quella sofferenza? Quanto angusto e buio quello spazio intorno a Te?
Poco, Signore. Lo so. A fare luce sei giunto Tu, accompagnato dalla straordinarietà di quella cometa; a fare calore c’era un cuore di Madre, per cui sei stato subito vita e magnificenza. Poco, di sicuro. E immediatamente suono di flauti, versi di animali in armonia con lo scenario del cielo, paglia e fieno per dorare la grotta, protezione e diletto in Giuseppe, che hai reso grande nella sua umiltà.
Gesù, Tu darai vita al mondo questa notte!
E allora…

 Signore, fà di me la tua grotta in Betlemme.
Non  manchi la protezione, non manchi l’Amore.
Non manchi colore nei miei giorni, armonia nelle mie parole.
Con la musica per rendere grazie e con gli occhi per adorare.
Signore, fà di me la tua grotta in Betlemme,
un’anima povera, arricchita dal tuo dimorare in me.

                                                                                                                             Gioiosamente, Sofia.

mercoledì 17 dicembre 2014

Con i miei piedi



Scriverò nonostante il gelo ai piedi. Il gelo ai piedi è una sconfitta continua nei miei inverni: nessun rimedio pare alleviare quel senso di blocchi dentro il ghiaccio, come se fossero separati dal resto del corpo. Provo fastidio e mi innervosisco perchè non riesco a risolvere il problema. Anche se cammino molto, la sensazione non passa. C'è un momento indefinito, poi, quando mi metto sotto le coperte, in inverno, a letto, in cui la sensazione si acuisce per poi svanire, nell'indefinito momento che, per quanto bramato, mi fa sentire così impotente. Il gelo ai piedi è fuori dal mio controllo. E pare non sia l'unica cosa.

Ho camminato molto a Roma, qualche settimana fa, a proposito. Roma è una città meravigliosa, e non vuole essere una frase fatta. C'è grandezza, c'è magnificenza, c'è prodigio. La cosa che più mi è piaciuta di Roma è stata sentirmi solo una fra milioni di altri. La mia storia, improvvisamente per quelle strade, non aveva più significato nè spessore per nessuno e, insolitamente, neanche per me. Mi sono sentita leggera come il fischiettare in primavera, forse un pò vuota, ma di un vuoto positivo, che ti fa venire voglia di riempire un foglio bianco, non per scrivere e basta, ma per dare nuova forma alla mia esistenza. Senza assolutismi o filosofia è davvero così che mi sono sentita: in armonia con un nuovo inizio. E' strano...quell'esperienza era cominciata alla vecchia maniera, con lo stomaco chiuso davanti alla cena e il mondo che si fa immensamente grande nella mia testa, con confini inarrivabili e le solite paure, giganti dai piedi di pietra che calpestano la terra della mia coscienza. La solita storia, ma un diverso epilogo: un sorriso sulle labbra quando ho messo i miei piedi su quella terra, la terra della città eterna, è spuntato fuori da una semplice verità. Non ero sola: un angelo biondo mi stava accanto, inconsapevole di quanto stesse accadendo dentro me, aveva intrapreso una strada che è arrivata a destinazione ed è rimasta lì, nei pressi del cuore. "Tu pensi di essere fragile..ma tu sei forte vedi, sei fortissima...io me ne sono accorta", con il corpo rannicchiato e la testa poggiata su un cuscino d'occasione, forse chissà, mi ha solo aiutato a vedere le cose da un'angolazione diversa.
Poi tutto è filato liscio. Roma è filata liscia, bella, con l'aria "friccicaredda". Mi sono goduta tutto: ho amato perdermi dentro San Pietro, all'inizio troppo grande, troppo alta, troppo lunga; aveva una grandezza ingestibile dal mio occhio. Poi un'intuizione brillante, lì, dentro San Pietro, per renderla alla mia portata e farla mia, per lasciare lì dentro il senso dei miei passi, è bastato solo fermarmi, compormi e infine pregare. Le parole conosciute di versi detti e ridetti hanno come avuto il potere di fare di me un tutt'uno con quella grandezza, trasformandola ai miei occhi in casa.
Così questa è stata Roma, l'immensità che mi ha reso nulla e che al contempo, mi ha fatto trovare me stessa.
Grazie Roma.

Piedi stanchi e piedi freddi: i primi vivono, gli altri raccontano.


martedì 18 novembre 2014

Un profilo importante

Ho dato un assetto al mio profilo per questo blog. E' stata più una sfida che un passaggio obbligatorio. Anche perchè obbligatorio non lo era affatto. Mi sono domandata però se qualcuno capitasse da queste parti e leggesse, e leggendo apprezzasse, e apprezzando riservasse uno spazio della sua giornata a una riflessione, allora io sarei utile. Essere utili è la condizione di chi produce. Userò prudurre come verbo, perchè "lavorare" ha un'accezione troppo legata al guadagno e il guadagno è legato al denaro e il denaro, o meglio, la mancanza di denaro alla disperazione. E io voglio essere utile e non voglio fare disperare nessuno che per caso leggesse e così siamo tornati a questo blog e al mio profilo: le cose che mi riguardano. Schematizzandole ho avuto l'impressione di rinunciare a una parte di me, ma in fondo, se potessimo entrare interamente in un elenco di lessemi, saremmo come dei dizionari: grandi, lunghi, intensi, utili ma noiosi. Quindi partiamo dal presupposto che un profilo può servire e magari se cerchi una ricetta per le Arancine siciliane non la vieni a cercare qui, ecco.

Nella compilazione del profilo c'è sempre una parte facile, quella anagrafica, ovvero quella che raccoglie informazioni tue e solo tue ma che fondamentalmente e nella maggior parte dei casi non hai scelto per te stessa: il tuo nome, il tuo cognome, la tua data di nascita. Ci sei, esisti, hai persino una ubicazione nel vastissimo mondo terreno. Trovo che sia un grande punto di partenza, chi siamo è anzitutto un'occasione. Io sono Sofia, sono nata a maggio e vivo a Finale, che mi piaccia o no, il mio viaggio parte da qui.

Adesso viene il bello: nome utente, ovvero quella dicitura che scegli di avere per pubblicare qualcosa sul web. Non è semplice, perchè ti dovrà rappresentare, dovrà dire qualcosa di te, qualcosa non è tutto, ma se provi a farlo ti accorgerai che non puoi accontentarti di "Sofia925" o "cucciolotta" o "orsacchiotto" o "bambolina" dududadadà. Lasciate che siano le vostre madri o i vostri fidanzati e fidanzate o le vostre amiche di quando avevate 12 anni ad affibbiarvi quelle etichette. Io ho cercato di scegliere qualcosa che potesse riguardarmi oggi e sempre, che dica tutto senza dire niente, qualcosa che imito da qualcos'altro. 

Ho scelto di chiamarmi "guerriero della luce"; non è altro che un personaggio letterario che non ha conformazione fisica ma è solo la metafora di ciascun uomo, creato da Paulo Coelho nel suo libro "Il manuale del guerriero della luce", una raccolta di testi pubblicati nella rubrica Maktub del quotidiano A Folha de Sao Paulo. Complicato? Un pò meno se considerate semplicemente che guerriero è chiunque sta lottando la sua personalissima battaglia, mentre la luce è sinonimo di verità, non quella assoluta, ma relativa, cioè di ciascuno. 

Nella formazione del mio profilo esiste poi una sezione dedicata a tutte quelle cose che richiedono riquadri più grandi e un limite di caratteri. Ai fini comunicativi è giusto e corretto e non occorre una laurea per comprenderne la ragione: se scovi un blog e devi decidere se ti interessa, sbircerai il profilo e vorrai leggere un elenco breve e conciso di cose nella speranza che alcune di esse o tutte possano combaciare con le tue. 

Nella sezione "interessi" non ho avuto grosse difficoltà: l'interesse è ciò che piace, il piacere è momentaneo, dunque gli interessi possono cambiare. Non definiscono nulla insomma, se non quella parte di te che in questo momento della tua vita permetti che si esprima. 

Film, musica, libri. Ecco qualcosa che invece trovo ingiusto. Come faccio a separare con una virgola ogni elemento che andrò a inserire in ciascuno dei 3 riquadri rendendo comunque a ognuno di essi la propria porzione di importanza nella mia vita? Voglio dire, c'è stato un momento in cui il libro di algebra mi piaceva davvero un sacco e un altro in cui quello di storia del IV anno mi ha coinvolta intensamente. Ci sono letture e film e canzoni che raccontano di me ciò che le mie stesse parole possono solo lasciare bianco.

Presentazione. Limite max 1200 caratteri: nel tentativo di capire se potessero essere troppi o troppo pochi, mi sono affidata allo stereotipo per eccellenza dell'uomo, ossia la ricerca della felicità. Ecco cosa ha la presunzione di essere questo blog. Un documento in mezzo a centinaia e centinaia di altri documenti che offrono una visione soggettiva delle cose, cioè la mia testimonianza.
Sono Sofia, sono nata a maggio, vivo a Finale e testimonio la mia vita, nella speranza che essa un giorno convoli a nozze con la felicità. 

Ci sono molteplici ragioni per cui un profilo conta, ma non è tutto. 

Il profilo è solo un punto di vista. 
Io vorrei donare tutta me stessa.  

lunedì 3 novembre 2014

Monday morning in Finale: bagno antropologico nella realtà dei miei pensieri.


Con un gesto ormai automatico ho messo gli occhiali da vista, mentre toglievo dalla testa quelli da sole. Ho dato un’acconciata ai capelli, spostandoli dal viso il più possibile. Non amo avere la visuale occupata né tantomeno il solletico che le ciocche possono provocarti quando i capelli sono sciolti. Per questo motivo probabilmente se tenete un’immagine di me, non posso che immaginarla con il mio solito raccolto, che sia normale mattina o un dì di festa. Oggi per esempio è lunedì mattina. Una volta aperti gli occhi dopo una nottata caratterizzata da incubi su uno stalker nano che mi perseguita e il freddo per via del calo di temperatura e delle coperte non sufficienti, mi sono alzata per un appuntamento. Soliti gesti di bisogni fisiologici soddisfatti, incluso attivare il wi-fi per vedere chi mi ha pensato e quali novità si sottopongono alla mia attenzione. Acqua fredda sul volto ancora stirato dalle smorfie consuete di chi mette piede giù dal letto, e latte sul fuoco. Ho un vizio: non mi accontento del latte caldo, no. Così ho comprato un “cappuccinatore” e potrebbe anche non esistere come lemma, al costo di 7 euro. Faccio la schiuma, verso il latte nella tazza a misura, e poi il caffè, formando la classica spirale che poi sembra sempre più una macchia indefinita che altro; un po’ di zucchero e la pillola va giù che guardo morbosamente cadere sotto la densa schiuma e infine, tocco di classe, spolverata di nesquik! E mi chiedo come mai vi sto parlando della mia colazione. Anyway, indossando gli occhiali da soli prima di uscire mi sono sentita come legittimata a tenere quell’aspetto di merda,  e sono andata al mercato con la zia (yes, era questo il mio appuntamento, che ti aspettavi? ). Il primo impulso è stato quello di condividere l’esperienza che mi accingevo a vivere mentre i miei amici si stavano spostando nel mondo chi a lezione, chi a lavoro, chi nella propria vita densa di significato, mentre io andavo al mercato a comprare le calzette che avevo terminato. Ironia portami via. Poi, fiera delle mie scelte e ambizioni comode da casa, ho realizzato cosa avrebbe reso quella mattinata diversa dalle altre e degna di essere vissuta. Si, perché, che vi piaccia o no, sono l’unica tra i miei amici in grado di vivere la poesia di un lunedì mattina al mercato e trasformarla davvero in essa, impedendo che rimanga un momentaneo parto della mia mente. L’impatto non è stato forte, poca gente e poche bancarelle, sufficienti per stimolare quella voglia donna di acquistare ogni cosa, specialmente se davanti ai tuoi occhi si presenta l’ordinato ammasso delle “cose di casa”. Aaaaah, come avrei voluto quei sacchetti della spazzatura! I portatovaglioli in metallo, le mollette per stendere, un set di coltelli per ogni uso, un comodissimo tagliere formato single per la mia totale incapacità di tagliuzzare cipolle e carote per i soffritti del mio cuore! Extrema ratio. Mi sono allontanata a passo svelto direzione bancarella dei “marocchini” che poi se vengono dalla Liberia o dall’Egitto mica possiamo chiamarli marocchini. Questa tendenza a generalizzare mi distrugge, ma ho vissuto  22 anni associando le bancarelle ai marocchini e ora non so come chiamarli davvero! Di sicuro la voglia compulsiva di acquistare diminuisce perché da brava figlia di mia madre so che la convenienza non può prescindere dalla qualità. And so, direzione banco frutta, ma la zia suggerisce abilmente di passare al ritorno. Eccola lì, si materializza davanti ai miei occhi la zona dell’intimo, sentendomi sollevata dal non desiderare le mutandine per neonati, mi dirigo verso le calzette, vera causa di tutto questo tumulto dei miei pensieri. Quando devo acquistare ho le idee sempre abbastanza chiare per cui, verificato che il prezzo era quello che saggiamente mia madre aveva profetizzato, ho esclamato “le prendo!” senza sé e senza ma  3 paia, 5 euro ,in cotone puro, Pierre Cardin, nere, bianche e grigie . Tuttavia non ero ancora soddisfatta. Più volte tentata da mutande e reggiseni, ho canalizzato le mie brame, ridimensionandole. E sono arrivata alla frutta. Letteralmente.  Lì ho lasciato fare alla zia perché ero distratta dall’uomo balbuziente e dell’altro con un occhio ammaccato e non ho potuto fare a meno di pensare a…” 4 pirati sul mar di Sargassi, hanno una zattera fatta di assi, stan navigando dicono loro alla ricerca di un  grande tesoro. Però…uno è alto, uno basso, uno è zoppo, l’altro tiene una benda sull’occhio, stan navigando dicono loro alla ricerca di un grande tesoro!” (digressione musicale, Amen.)
Adesso devo fare una nota polemica alla mia popolazione, che per quanto amo, si rivela per quello che è dandomi costantemente conferma del fatto che le gente si forma a immagine e somiglianza di ciò che vive e difficilmente il modello educativo di riferimento (che in questo caso è un mix di modelli, su tutti quello familiare, a seguire quello religioso ecc..; ma di questo parleremo un’altra volta) è ottimale.  Mera curiosità, presunzione, scetticismo, ignoranza. Questi i tratti negativi che ho potuto riscontrare prestando orecchio a pochi scambi di battute e osservando piccoli gesti intorno a me. Ma, anche nel più buio degli scenari, ho trovato conforto. Una carezza sulla spalla, niente di più. Una signora passando ha poggiato spontaneamente la sua mano sulla mia schiena, e ha sorriso salutando con un semplice “Buongiorno”. C’è ancora speranza. Il ritorno verso casa è diventato così improvvisamente triste, come se stessi lasciando lì l’occasione di vivere altre piccole magie. Condividere è un buon modo per stare meglio anche con sé stessi, così non ho perso un attimo. Ho abbracciato il pc e ho fatto quel consueto gesto con i miei occhiali, cambiando in fondo solo la modalità di me stessa, rendendola più funzionale a ciò che sapevo avrei fatto immediatamente: offrire i miei occhi a chi decidesse di affacciarsi dal balcone della mia fantasia. Questo non sarà redditizio,  non sarà etichettabile e nemmeno conveniente, ma certamente sarà espressione di me stessa. Voi se volete, saltate a bordo, mentre cerco di capire cosa farne.

Lunemente vostra,



Guerriero della luce.


lunedì 10 febbraio 2014

Una storia di disamore

Bollate, Milano. Milano: avanguardia, progresso, industria, scala, piazze, storia, moda…cultura! Eppure le uniche usanze che sembrano rievocate sono quelle barbare.

Si, cominciamo a darci sotto con le parole pesanti.
Qualcuno potrebbe pensare “niente di nuovo sotto il sole!”, invece stavolta per me l’indignazione è stata tanta, troppa. Al punto che ho deciso di rifletterci sopra e cercare di capire come si è potuto arrivare a tutto questo. Per i più distratti, o per chi non ha dato poi così importanza al “fattaccio”:
poco lontano dall’istituto scolastico che frequentano un gruppo di ragazzi sembra riunirsi attorno a quella che ha tutta l’aria di un chiarimento faccia a faccia tra due ragazze quindicenni. Motivo della disputa: un presunto fidanzato dal doppio abito di ex e nuova fiamma.  A questo punto pensavo di suggerirvi  un’immagine cinematografica per rendere meglio l’idea della situazione ma, ahimè, la storia ha dell’originale a dir poco sconcertante. Non si tratta di uno scontro alla pari, anzi sembra proprio che la vittima (quella che diventerà la vittima, per la precisione) non abbia alcuna voglia di scendere al livello della sua avversaria la quale, al contrario, non ha in mente niente di civile. Un calcio, un altro, uno spintone, un altro a mò di provocazione, cercando una reazione che non arriva. Ma non serve. Sappiamo bene quanto il tifo in uno stadio può rappresentare il dodicesimo uomo di una squadra. Ecco la bolgia infernale infiammata, ecco gli incitamenti, le urla e la carica che si trasforma in violenza: le tira i capelli a lungo, la butta per terra, inutile scappare, la pesta. Inutile gridare: “Vi prego aiutatemi!” Cosa è peggio di un solitario grido d’aiuto? È non essere effettivamente soli, piuttosto attorniati da un branco. Lupi affamati di malsane emozioni. E come pregustando un piatto dall’odore, soddisfare poi quella fame, lasciandosi andare. Hanno ripreso tutto e come  a voler mettere la firma a tale scempio, lo hanno reso pubblico.

Il resto sono le ovvie condanne dell’opinione di massa e la strumentalizzazione di un dramma.
E nel resto anche io che non sono riuscita a guardare quel video una seconda volta. Ma mi sforzo di guardare al di là dei fatti e intravedere comunque e ancora un’intelligente resa. Arrendiamoci. Quei ragazzi oggi vivono un’altra età che non è più la mia alla loro età. Non ha senso rapportarli a me stessa da adolescente se non in relazione ad una sola idea: smoderatezza sentimentale.
Ho sentito dire che l’amore da ragazzi è ancora puro e genuino, che mettono tutto dentro quella bolgia di emozioni e le vivono iperbolicamente, idealizzando ogni gesto  e ogni parola. E se smoderato risulta vivere l’amore, perché non altrettanto smoderato dovrebbe risultare perdere l’amore?
Per questo penso che l’amore a 15 anni non sia amore, piuttosto disamore. E svincolo pertanto l’onorevole Amore invitandolo a ritornare lì dove lo incontriamo davvero: nei libri, nella musica, nella poesia…


Diseduchiamoci da questa idea di amore e salviamolo.   

mercoledì 15 gennaio 2014

Appena prima di dormire

Anime perse
nel vento insolito
di un mancato appuntamento
con la bella stagione…

Visi allo scoperto
stringono gli occhi
e si dichiarano sconfitti
alla sera...

Parole
che non servono
cedono il posto a un silenzio
di condivisa malinconia…

Forse per la prima volta

sento mancare quel sole.