E' passata domenica.
Il giorno delle pacifiche concessioni: ci si può alzare più tardi senza sentirsi in colpa, anche se ad attendere rimangono sempre centinaia di pagine del manuale di storia, per cui non importa che giorno della settimana sia, nessun libro si sfoglia da solo. Un pensiero di crudo rammarico per colazione e un caffè che, per sembrare più buono, ho macchiato con cura. Più che decisa a non farmi travolgere dal via vai del pentolame in cucina, ho raggiunto la solita postazione ma i suoni provenienti da fuori suggerivano tutti domenica. Con un sorriso velato ripensavo alla serata precedente, al solito summit settimanale con gli amici, a quei discorsi articolati, percorsi, e che poi restano sospesi nonostante la loro carica, nell'incognita di un futuro fuori dal nostro controllo. E mi rallegro per quella sottile contraddizione, da una parte la sicurezza di valori condivisi forti, dall'altra le storture di un contesto difficile e privo di punti di riferimento.
Mi lamento spesso per il sovraccarico degli impegni, per le responsabilità che ti stringono nella morsa delle scadenze, per il tempo che proprio non si riesce a trovare e per tutte quelle cose che "vorrei ma non posso". Anche quell'intolleranza malcelata per chi guida male in strada davanti a te, per chi parcheggia in doppia fila e per quel signore che dal finestrino della sua auto nella corsia opposta alla mia mi guarda e mi dice con gli occhi: "Signorina passi...ce la fa!". Ma de che? Ci lascio uno specchietto! E tutti quei rumori molesti, le intrusioni indesiderate, un mondo social opprimente e l'incapacità di osservare in silenzio. Ipercritica, noiosa e chissà, forse eccessiva. Cerco di trattenere quella patologica tendenza a tenere tutto il resto del mondo sotto controllo, mentre dentro di me è un continuo '48: il corpo si ribella manifestando svariati dissensi nelle zone dell'apparato digerente, mentre lassù le classi dirigenti del cervello si dividono in ulteriori fazioni, chi vorrebbe concedere una tregua, chi vuole solo reprimerle con la violenza, e in piccola parte chi supporta più o meno segretamente la rivoluzione, fidando nell'utopica idea di una vita felice.
Curiosamente però, sono la stessa persona che non nega agli altri il tipo di supporto che servirebbe a se stessa, dispensando consigli su come rimanere a galla e destreggiarsi in un periodo complesso, estremamente precario, di cui rappresenti lo scatolone con la scritta "FRAGILE". Però magari dentro c'è un frigorifero di ultima generazione, multi accessoriato e di un argento splendente. Per Brezsny è una questione astrale, noi Toro siamo così: anche nei momenti di positività, carica e fortuna, amori di rose e lavori seducenti, cerchiamo un motivo per legarci alla tristezza. E poi ha detto, profeticamente: "La tua ferita è una benedizione", e sto ancora qui a domandarmi di quale squarcio parlasse. Sottili contraddizioni, appunto.
E' innegabile che essere giovani al giorno d'oggi è complicato, perchè come dicevo qualche riga sopra, mancano i punti di riferimento, le certezze. 10-15 anni fa un giovane poteva ancora contare su una identità locale, una radicalità dei costumi e su percorsi di vita che necessariamente ti mettevano di fronte all'esigenza di cavartela con pochi mezzi (intendo dire anche senza Internet come lo conosciamo oggi). Questo lo rendeva forte, lo corazzava e lo proiettava in una direzione coraggiosa ma che in qualche modo risultava già solcata. Erano però decisamente inferiori le possibilità. Oggi un giovane può fare tutto: può studiare, può partire, può parassitare senza alcun disturbo. Può scegliere un compagno senza impegno e demonizzare al contempo una vita in cui invece bisogna sacrificare spesso qualcosa in funzione di progetti condivisi. Può curare il mito di se stesso, spazzando le esperienze condivise, chiudersi in un individualismo di superficiale sussistenza e deridere magari quei contesti in cui qualcuno crede ancora nella forza del gruppo e nel servizio a terzi senza tornaconti, fatta eccezione per una formazione personale e civile - consentitemi - che nessun'altra agenzia educativa è in grado di offrire.
Ma la vera difficoltà, prima ancora che nelle scelte e nei percorsi, ciascuno di noi la vive con se stesso. E' l'interrogativo grande a cui sapere rispondere: chi sono? Cosa parla di me? Cosa mi qualifica? Ci lavoro almeno da tre anni e, tra le altre, ho raggiunto una nuova consapevolezza: conoscersi è quel sentiero che termina insieme a noi. Possiamo solo diventare abili lungo la strada in quel gioco di equilibrio tra io e io.
Troppo cerebrale forse, troppo pesante, magari vi aspettavate di leggere la mia solita poesia in prosa. In effetti non sapevo con certezza cosa sarebbe accaduto tirando fuori questo post. Accumulo i pensieri e quando non ci entrano più, butto fuori e poi seguono fenomenali dormite. Via quella tachicardia che mi fa mal godere l'ultimo episodio di Friends prima di staccare tutto. Insomma, quello che sto cercando di dire è che dietro l'apparente saggezza che può trapelare da questo
"flusso di incoscienza", c'è la ragazza che si emoziona per le audizioni di sconosciuti a X-Factor. C'è la donna che chiede di essere accarezzata, ma rifiuta un caffè con nuove compagnie. C'è la sognatrice che trascrive le immagini della sua fantasia sul sottofondo di una melodia generata solo da chitarre, ma non sale su un treno. C'è una dispensa di amore ma che rischia di scadere. Possiede una soluzione, ma volta pagina sul problema. Un elenco di sottili contraddizioni che si rispecchiava anche questo pomeriggio fuori: mare calmo, effetto olio dall'alto, temperatura mite, la solita umidità, ricci in ribellione, una festa a metà. Dentro, negli schermi, il meteo preannunciava bufera.